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Patrimoniale: esproprio o dovere morale?

Strategia in tre mosse contro una proposta indecente.
1.Rifiutare paragoni impropri. La proposta deve essere isolata perché appaia in tutta la sua oscenità. Non ha nessuna parentela con sistemi fiscali, presenti in molti paesi, che tassano sia il reddito che il patrimonio. Non ha nulla a che vedere con la patrimoniale notturna di Amato del 1992, che, a parte la dimensione del prelievo, fu varata quando il rischio di bancarotta incombeva su Governo e istituzioni. E neppure con l’Eurotassa, di cui era stata promessa la restituzione: questa arrivò, ma in misura che, conteggiando interessi e svalutazione, non raggiunse il 50%, e quindi serve a dimostrare ancora un volta che non ci si deve fidare dei governi: mai e di nessuno.
2.Concentrarsi sull’argomento forte. E’ vero che questa proposta peggiora il merito di credito dell’Italia (se lo fa con i suoi elettori, penseranno, figurarsi se poi non lo farà con gli stranieri), disincentiva gli investimenti e incentiva la fuga di capitali, riduce il valore dei beni che vuole tassare, e che quindi peggiora la situazione a cui vorrebbe por rimedio. Ma sarebbe argomentare in termini di convenienza, mentre ci sono prevalenti ragioni di democrazia, che riguardano il rapporto di fiducia tra cittadini e Governo. Il debito, che i cittadini dovrebbero coprire con i propri patrimoni, é il risultato di azioni di Governi, di quello che hanno fatto e non fatto, nel passato e nel presente: perché il cittadino dovrebbe pensare che qualcosa potrebbe cambiare? Perché non dovrebbe prevedere che l’indulgenza plenaria sarà perfino un incentivo a ricominciare daccapo? Ciascuno di noi respingerebbe senza esitazione chi, con pessimi precedenti e senza alcuna garanzia, gli chiedesse di dargli una quota significativa del proprio patrimonio. Chi avanzasse questa proposta non meriterebbe fiducia: bisogna rendergli chiaro oltre ogni dubbio che sarebbe subito mandato a casa.
3.Principiis obsta. Secondo una recente corrente di pensiero, il rapporto più significativo del PIL non è quello con il debito pubblico, ma quello con la somma del debito pubblico e di quello privato; ragion per cui sarebbe cruciale disporre di una contabilità patrimoniale delle attività delle famiglie, e della dinamica della loro ricchezza. I dati saranno pure neutrali, ma il modo di aggregarli risponde a finalità politiche. In questo caso quali sono? Quello di chiedere a Bruxelles una diversa lettura dei nostri conti pubblici? Quello di rassicurare i mercati? O non invece quello di misurare bene per prelevare meglio? E’ davvero sbagliato vedere in questi argomenti scientifici la base concettuale delle oscene proposte? I timori così sollevati non giovano all’economia e quindi ai conti pubblici. Anche gli studiosi dovrebbero prestare attenzione alle conseguenze inintenzionali dei loro lavori.

Fonte: Il Foglio del 29 gennaio 2011

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