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Obama-Sarko-Merkel. Al G20 il direttorio cerca la sponda blu

«Si è fatto trascinare in un pantano dall’ idealismo di tre donne» dicevano in molti di Obama nei lunghi mesi in cui i ribelli non riuscivano a prevalere sulle forze di Gheddafi, nemmeno col massiccio supporto aereo della Nato. La guerra in Libia, un Paese non strategico per gli Stati Uniti, è stata a lungo un’ altra ferita aperta per la Casa Bianca. Una guerra che il presidente non aveva cercato e nella quale si era imbarcato – mandando comunque avanti i partner europei della Nato – su pressione del segretario di Stato Hillary Clinton, dell’ ambasciatrice Usa all’ Onu, Susan Rice, e di Samantha Power, uno dei consiglieri più ascoltati alla Casa Bianca. Ora che il conflitto si è concluso, che Gheddafi è stato eliminato e che la Libia è passata dalla colonna delle perdite a quella dei profitti nel magro bilancio della presidenza Obama, il Washington Post ricostruisce tutta la vicenda sottolineando come nella partita un peso decisivo l’ abbia avuto proprio la Clinton. L’ ex first lady non solo ha convinto Obama ad agire per evitare «un altro genocidio come quello del Ruanda», avvenuto quando alla Casa Bianca c’ era il marito Bill, ma ha svolto un lavoro diplomatico delicato e intensissimo per evitare che il protagonismo di Sarkozy (i «Rafale» francesi cominciarono a bombardare prima che fosse dichiarato l’ intervento Nato) facesse saltare la coalizione pazientemente messa in piedi dagli americani. Nella ricostruzione del Post , basata su informazioni del Dipartimento di Stato e su un colloquio con la stessa Clinton, è lei a placare un Silvio Berlusconi, furioso per l’ attacco francese, che minacciava di negare alla Nato l’ uso delle basi italiane: piattaforme avanzate indispensabili per l’ offensiva contro Tripoli. Insomma, la «guerra delle donne» fu una missione umanitaria, ma anche un’ operazione diplomatica sofisticatissima, di cui Hillary rivendica il merito (anche se sulla direzione della nuova Libia pesano molte incognite e se molti ribelli continuano a criticare Washington per il suo scarso impegno). Una centralità della Clinton confermata anche da un altro fatto nuovo: un segnale d’ apertura nei tesissimi rapporti col Pakistan (una proposta di collaborazione rivolta ai servizi segreti di quel Paese) che matura proprio all’ indomani della visita del capo della diplomazia Usa a Islamabad.

Fonte: Corriere della Sera del 1 novembre 2011

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