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Monorchio: “Tre mosse per dimezzare il debito”

Andrea Monorchio è uno degli uomini che meglio conoscono la pubblica amministrazione italiana e i suoi conti. Ha imparato a conoscerli in 45 anni da civil servant, gli ultimi tredici dei quali da Ragioniere Generale dello Stato, carica che ha ricoperto dal 1989 al 2002. Oggi è vice presidente della Banca Popolare di Vicenza, ma il primo amore non si scorda mai, tanto che insieme all’ex vice segretario generale di Palazzo Chigi, Guido Salerno Aletta, ha elaborato un piano di ristrutturazione e riduzione del debito pubblico.
Professor Monorchio, com’è oggi la situazione dei conti pubblici?
«I saldi di bilancio sono tra i migliori della zona euro, quello che pesa è lo stock del debito su un pil che negli ultimi dieci anni non è cresciuto».
Negli anni ’90, quando lei guidava la Ragioneria Generale, quel debito fu ridotto grazie alle privatizzazioni. C’è ancora spazio per ripercorrere quella strada?
«Allora fu relativamente più semplice, perché le operazioni più rilevanti riguardarono società quotate, che avevano un chiaro valore di mercato. Ci sono ancora molte cose di valore ma la parte più rilevante del patrimonio pubblico è rappresentato da immobili, la cui cessione è lunga e complessa e che sono per lo più da valorizzare».
E allora?
“Ci vuole un sistema che consenta al settore pubblico di incassare rapidamente senza perdere almeno in parte il maggior valore che può derivare dalla valorizzazione di questi beni. La soluzione potrebbe essere la creazione di uno o più fondi ai quali conferire questi beni e la cessione di una parte rilevante delle quote. Le valutazioni dovrebbero essere fatte da soggetti credibili, italiani e internazionali, per determinare una forchetta di prezzo e la gestione dovrebbe essere affidata a privati. In questo modo lo stato, ma anche il comune o la regione, potrebbero incassare in tempi brevi una parte del valore dei beni ceduti al fondo e partecipare anche alla loro valorizzazione».
Basterebbe a rimettere in sesto i conti?
«Darebbe un contributo importante, ma non sufficiente. L’Italia ha un debito pubblico di 1870 miliardi di euro, e si è impegnata con l’Europa a ridurlo nei limiti previsti dal Trattato di Maasticht in vent’anni. Vuol dire che di qui al 2032 dobbiamo riportare il nostro debito a 948 miliardi di euro, cancellando i 922 miliardi di troppo. Ovvero tagliarlo di 45 miliardi, il 5 per cento, ogni anno. La cessione di parte del patrimonio pubblico può contribuire per una parte ma non risolvere il problema».
Cos’altro si può fare?
«Insieme a Guido Salerno Aletta abbiamo riflettuto sulla situazione e abbiamo cercato di definire un percorso che potrebbe consentirci di rientrare da quel livello di debito nei tempi previsti senza essere di peso alle famiglie e all’economia in generale, perseguendo l’obiettivo di ridurre l’ammontare del debito, contenerne il costo e italianizzarlo. Oggi è per poco meno della metà in mani estere, il che lo espone alla volatilità dei mercati, come per esempio non accade al Giappone che ha un debito pubblico che è quasi il doppio di quello italiano, ma lo ha tutto in casa».
Qual è la ricetta?
«Il primo passo è l’azzeramento del deficit, che ora è previsto per il 2013 ma potrebbe essere anticipato al 2012».
Dopo le manovre d’estate non sembra ci sia spazio per ulteriori sacrifici.
«Lo spazio c’è, nelle pensioni, nella sanità, nel ruiordino degli enti locali, ci vuole la volontà politica di utilizzarlo».
Facciamo conto di aver raggiunto uno stabile pareggio di bilancio, a quel punto cosa si fa?
«Non la patrimoniale, che come diceva Einaudi per essere efficace deve essere sostanziosa, e oggi una patrimoniale sostanziosa le famiglie italiane non se la possono permettere. Ma c’è un altro modo per mobilizzare l’enorme patrimonio immobiliare delle famiglie, il cui valore ammonta a oltre 4 mila 800 miliardi, ed è gravato da mutui per circa 350 miliardi: in sostanza per 4 mila 500 miliardi si tratta di un patrimonio libero. La proposta è di chiedere alle famiglie di fare un mutuo con ipoteca sul 10 per cento di quel valore, 450 miliardi euro, che sarebbero impiegati per acquistare titoli pubblici speciali con un rendimento dell’1,5 per cento. Lo stato pagherebbe integralmente l’ammortamento di quel mutuo e intanto le famiglie incasserebbero quell’1,5 per cento l’anno sui titoli di stato ventennali acquistati».
Da dove arriverebbero quei 450 miliardi?
«Da un consorzio di banche italiane, che cartolarizzerebbero quei mutui e li darebbero come collaterale alla Banca Centrale Europea e applicherebbero a quei mutui lo stesso tasso, più qualcosa, da loro pagato alla Bce».
Quali sarebbero i vantaggi di questa operazione?
«La drastica riduzione del costo del debito, che scenderebbe dall’oltre cinque per cento attuale a meno del 3. Due punti e mezzo su 450 miliardi sono oltre 10 miliardi l’anno, da utilizzare insieme all’avanzo primario ad ammortizzare il mutuo. Con questo sistema in vent’anni e in maniera indolore, si ridurrebbe il debito di 450 miliardi di euro, metà di quello che dobbiamo fare. Nel frattempo almeno per quei 450 miliardi il debito tornerebbe in mani italiane».
In sostanza è un modo di utilizzare il patrimonio immobiliare degli italiani per dare una garanzia alla Bce e abbattere il costo del debito.
«E’ così. Se si rispetta la premessa del pareggio di bilancio, chi non accetterebbe come garanzia le case del paese più bello del mondo?»
Tra cessioni immobiliari e questa operazione sulle case siamo a due terzi del cammino. Per l’altro terzo come si fa?
«Si può operare sul bilancio pubblico, decidendo di pagare in titoli di stato speciali, sempre con un rendimento dell1,5 per cento, il 5 per cento dei 660 miliardi l’anno di spesse correnti e il 10 per cento dei 70 miliardi di spese per investimenti. Il meccanismo sarebbe lo stesso, i cittadini e le imprese potrebbero cedere senza costi alle banche quella quota di salario o liquidazione o quant’altro ricevuto in titoli ottenendo il controvalore, le banche utilizzerebbero quei titoli come collaterale con la Bce. Sarebbero circa 40 miliardi l’anno, con un risparmio per lo stato consistente e nessun costo né per i cittadini né per le banche. Ci vorrebbe però la garanzia della Banca d’Italia».
Un piano quindi con tre gambe, le sembra realizzabile?
«Con la premessa di uno stabile pareggio di bilancio è assolutamente realizzabile. Ci vuole la volontà politica e bisogna spiegarlo con grande trasparenza ai cittadini».
Un domanda, che riguarda la sua esperienza di Ragioniere Generale: cosa pensa dei tagli lineari alla spesa pubblica?
«E’ una storia che nasce negli Stati Uniti e purtroppo ha preso piede anche in Italia. E’ la cosa più dannosa, e le faccio un esempio: con i tagli lineari alla Giustizia taglio anche il cibo per i detenuti, con quelli agli Interni anche la benzina per le volanti della polizia o per i veicoli dei vigili del fuoco. Il taglio lineare è la rinuncia alla responsabilità, il taglio puntuale invece è una assunzione di responsabilità, e io sono per la responsabilità».
Professor Monorchio, l’Italia ce la farà?
«Ne sono certo, è un grande paese, il patrimonio finanziario delle famiglie supera ampiamente l’ammontare del debito pubblico, ha un indebitamento complessivo contenuto, abbiamo una struttura produttiva solida…»
Perché allora è sulla graticola?
«Perché non ha più credibilità internazionale, e non mi chieda il perché, perché non le rispondo».

Fonte: Repubblica del 7 novembre 2011

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