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Manovra inefficace, non incide su debito pubblico e welfare

Si può combattere una crisi derivante da eccesso di debito pubblico – il nostro tallone d’Achille cui si è avvinghiata come una sanguisuga la speculazione finanziaria – senza intaccare di un centesimo quei 1901 miliardi che proprio venerdì, mentre il governo decideva la manovra, Bankitalia certificava essere l’ultimo ammontare record del fardello che ci portiamo da decenni sulle spalle? E si può ridurre quel rapporto debito-pil su cui si misura la solvibilità di ogni paese senza aumentare il denominatore, anzi prendendo provvedimenti potenzialmente recessivi che rischiano addirittura di farlo diminuire? Al di là delle polemiche – quelle delle opposizioni, fisiologiche anche se poco costruttive, e quelle interne alla maggioranza, del tutto patologiche – e lasciando ai creduloni la retorica delle buone intenzioni – una manovra finanziaria o fa male a qualcuno o non è – il giudizio sul decreto d’emergenza imposto dalla Bce per conto del duo Merkel-Sarkozy e messo in campo dal governo, non può che partire da qui. Solo misure anti-deficit e nessuna che intacchi lo stock di debito accumulato, solo misure congiunturali mentre quelle strutturali o sono state accantonate per divergenze fra e dentro i gruppi che compongono la maggioranza, o sono indicate in modo ancora troppo generico per pensare di poterci fare affidamento. D’altra parte, non può certo essere strutturale una manovra che non tocca, se non marginalmente (1 miliardo a regime il risparmio), la voce più grande della spesa pubblica, quei 270 miliardi che ci costa la previdenza (pari al 17% del pil, percentuale senza eguali in Europa). E che non intacca la spesa sanitaria, seconda voce del listino delle uscite. E che affronta, dopo molti colpevoli rinvii, il tema del costo e dell’efficienza del decentramento amministrativo senza una logica, che certo manca a chi decide di abolire solo 36 province e per di più prendendo come criterio quello del numero degli abitanti (sotto i 300 mila) e non quello, o anche quello, della vastità del territorio, senza un minimo di progetto di riordino e semplificazione che partisse dalle pur martoriate (in termini di mancati trasferimenti) regioni.
E neppure dal lato delle entrate si è usato il buonsenso: ma se devi spremere gli italiani, adotta il criterio del patrimonio e non del reddito, visto il livello patologico di evasione fiscale, altrimenti fai pagare al solito ceto medio che è già più che strizzato. Per non parlare della manovra lato pil: come ha detto giustamente l’ex presidente di Confindustria Antonio D’Amato a “Cortina InConTra”, non c’è nulla per gli investimenti e il Sud, e quindi niente che incrementi la crescita e l’occupazione.
Insomma, la manovra è arrivata in ritardo, si è stati costretti a scriverla sotto la pressione “commissariale” della Bce, il premier non ha avuto il coraggio di farla propria assumendo le decisioni in solitudine e autonomia – questi non sono decreti che possono essere oggetto di negoziazione preventiva, né con le parti sociali né con gli enti locali, ma devono rappresentare una diretta assunzione di responsabilità del capo del governo, sempre che voglia indossare i panni dello statista anziché quelli di un politico qualunque – e quando in poche ore si è dovuti passare dal semplice anticipo dei tempi dei vecchi provvedimenti a qualcosa di più articolato, il gioco dei veti reciproci ha fatto il resto. Ora speriamo solo che martedì sui mercati non succeda il finimondo. Buon Ferragosto.

Fonte: Il Gazzettino del 14 agosto 2011

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