• mercoledì , 9 Ottobre 2024

L’insostenibile pesantezza della Pa

Negli anni 80 si discusse a lungo come insegnare l’informatica nelle scuole: chi sosteneva che era una nuova “materia”, da insegnare in aule appositamente attrezzate; chi invece uno strumento che le altre “materie” dovevano usare e fare usare, ciascuna nel modo a sé più acconcio. Mi sono ricordato di quelle discussioni – allora ero in Olivetti – leggendo che il decreto sviluppo prevede la creazione dell’Agenzia per l’Italia digitale, così dotandosi di un “national champion” digitale, come vuole il commissario Kroes, e pure risparmiando con la fusione di due o tre enti preesistenti.
Nel caso della scuola, trent’anni dopo, troviamo social network alle elementari, Wikipedia come bignami alle medie, motori di ricerca al liceo per trovare Cicerone tradotto, e Skype per tutti: i ragazzi hanno risolto il dilemma adottando spontaneamente strumenti sofisticati che interessavano loro.
Nel caso della P.A. si legge di enti statali che ostacolano la messa in comune delle proprie banche dati, di regioni che hanno piani dei conti diversi tra di loro e da quelli dell’amministrazione centrale, rendendo così difficile consolidare i dati: ci si chiede se è perché mancano gli incentivi a cambiare, o perché ci sono incentivi a non cambiare, e viene qualche dubbio che la soluzione efficace sia la mistica unione di due o tre agenzie.
Il provvedimento dell’agenzia digitale, minore quanto ad effetto economico immediato, potrebbe essere quello che, di tutta la manovra, va più vicino al cuore del nostro problema di fondo: il modo di funzionare della Pubblica Amministrazione. Anche “vendere” alla Cassa Depositi e Prestiti di Sace, Fintecna, Simest, e immobili, nominalmente cambia qualcosa nella P.A.. Ma quanto alla asserita “valenza industriale”, la Cassa non ha, né si vede perché dovrebbe avere, le specifiche competenze gestionali; e quanto alla “riduzione del perimetro dello stato”, spostare 10 miliardi di debito “sotto la riga”, è come mettere le brache ai nudi di Michelangelo. Anzi, l’avesse fatto un privato, si troverebbe imputato di “abuso di diritto”, per aver fatto un’operazione elusiva, sprovvista di ragione economica.
Le altre misure sono perlopiù modifiche di incentivi, o diretti (green economy, assunzioni di giovani), o sulle aliquote fiscali (project bond, ristrutturazioni), oppure impegni che il Governo prende su se stesso (durata dei processi): operazioni volte a stimolare l’attività economica con effetti quantificati in misura – come dire? – ottimistica. Sacrosanto obbiettivo contrastare la diminuzione del PIL, ma non è quello il percorso che ci farà uscire dalla crisi.
In dieci anni, il costo del lavoro per unità di prodotto è salito, in Germania del 6%, in Italia del 31,4%. Il divario di produttività, che è inferiore di un terzo a quella tedesca, riconducibile anche a differenze di investimenti in capitale fisso e ad economie di scala, dipende però soprattutto dalla produttività totale dei fattori, dunque dalla qualità dei servizi, dunque dalla pubblica amministrazione che li fornisce. Abbiamo un’industria che produce ed esporta manufatti: ogni miglioramento della produttività consente di esportare di più, riduce lo sbilancio delle partite correnti.
L’insieme delle norme del decreto ci rivela un Governo preoccupato più di prescrivere, modificare, influenzare il comportamento degli operatori, che di prescrivere, modificare, influenzare quello di chi direttamene dipende da lui, cioè alla fin fine, di se stesso. La vicenda un po’ surreale degli esodati, dovrebbe far riflettere tutti, Governo compreso. Nel senso che va benissimo cedere (per davvero, non per giocare a rimpiattino con Eurostat) settori di attività che solo per inerzia di immaginazione o per coazione a ripetere sono ancora nel perimetro dello stato (da Enav a Rai, per dire), va benissimo reingegnerizzare una struttura sclerotizzata. Ridotta e razionalizzata, resterebbe però, sempre uguale a se stessa, la cultura della PA: una raffinata sapienza giuridica che cresce parossisticamente su se stessa.
Per questo, leggendo della creazione dell’Agenzia digitale, mi son tornati alla mente i problemi che ci facevamo su come introdurre l’informatica nelle scuole, e come i nostri figli e nipoti li hanno risolti: tagliandoli fuori e prendendo una strada diversa.

Fonte: Sole 24 Ore del 22 giugno 2012

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