• sabato , 14 Dicembre 2024

L’impennata dello spread e la lezione di Madrid

Come mai i mercati sembrano apprezzare di più la Spagna dell’Italia? Il motivo, forse, sta nel fatto che Madrid ha deciso di andare ad elezioni anticipate, mentre il nostro Paese continua a tirare a campare
Adesso è certificato dagli spread: i mercati apprezzano di più – o se si vuole, deprezzano di meno – la Spagna delle elezioni anticipate che l’Italia del tirare a campare e del caos permanente. Venerdì, per la prima volta da quando si aperta con la crisi greca la caccia speculativa all’euro, il differenziale tra Bonos spagnoli e Bund è risultato inferiore (311 punti) a quello dei nostri Btp con gli analoghi titoli tedeschi (327,6 punti, con il tasso al 5,28%). Sancendo così, se mai ce ne fosse stato bisogno, che l’attacco della speculazione finanziaria è proprio al debito italiano e che la tregua dei giorni scorsi, favorita dai massicci acquisti di Btp sul mercato secondario da parte della Bce (ha speso tra i 40 e i 60 miliardi), è destinata a vanificarsi, specie se le notizie dal fronte della manovra continueranno ad essere quelle, disastrose, degli ultimi giorni. Ma come? Si è sempre detto che il guaio peggiore per un paese sotto attacco sui mercati era quello di non avere continuità di governo, e adesso si scopre che le elezioni anticipate – che Zapatero ha convocato per il prossimo 20 novembre (a proposito: perché a Madrid si può votare in autunno inoltrato e a Roma no?) – non sono per nulla un tabù.
La verità è che in Spagna la continuità è assicurata dal buon funzionamento del sistema politico, come dimostra il fatto che governo e opposizione hanno votato insieme un emendamento costituzionale che, come suggerito dal duo Merkel-Sarkozy, introduce vincoli di equilibrio di bilancio e limiti all’indebitamento pubblico che diventeranno vincolanti nel 2020. Una riforma di “larghe intese” approvata con l’attuale esecutivo ancora in carica, ma che fa scattare la legge di attuazione l’anno prossimo, dopo che i socialisti di Zapatero avranno con tutta probabilità lasciato il posto al Partido Popular di Mariano Rajoy, cui i sondaggi assegnano una vittoria pressoché certa. Di fatto, un vero e proprio piano economico ultra-decennale consacrato da un forte spirito bipartisan e basato su saldi legami europei.
Insomma, una cosa per noi del tutto impensabile. E che invece sarebbe l’unico modo per riuscire a fare tre cose indispensabili: trasformare gli interventi correttivi finalizzati ad azzerare il deficit da congiunturali, quali sono ora, a strutturali; impostare una massiccia riduzione del debito tramite dismissioni di patrimonio, unico modo per sistemare una volta per tutte il bilancio dello Stato; rendere accettabili interventi dal profilo repressivo e punitivo – dalla lotta contro l’evasione all’allungamento dell’età pensionabile fino ad una tassa patrimoniale – cosa possibile solo se inseriti in un contesto di progetto-paese di lungo periodo nato in un clima politico caratterizzato da comuni assunzioni di responsabilità. Purtroppo, invece, la confusione intorno alla manovra è lì a testimoniare che il combinato disposto tra l’incertezza del governo e la certezza che un cambio di esecutivo comporterebbe la messa in discussione delle (poche) decisioni assunte, produce l’immagine di un paese lacerato, poco serio, incapace di scegliere e privo di peso negoziale in sede comunitaria. Cosa che apre inevitabilmente la strada a nuovi attacchi speculativi. I quali provocano la necessità di ulteriori interventi correttivi, non fosse altro per assorbire i maggiori oneri sul debito. Ma è così difficile copiare Madrid?

Fonte: Messaggero del 4 settembre 2011

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