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L’imbarazzo di Repubblica spiazzata da una prof. torinese ultra liberale

Il quotidiano alle prese col piano Fornero tra la linea di Gallino e quella di Boeri, che del ministro è stato l’ispiratore.
Così parlava su Repubblica Luciano Gallino, sociologo olivettiano, declinista cartesiano, trasformatosi con l’età in personaggio televisivo e guru della sinistra sindacale. Titolo: “Come abolire il diritto al lavoro”. Testo uscito su Repubblica del 5 settembre 2011: “Se diventano legge, le modifiche all’art. 8 del decreto sulla manovra economica avranno effetti ancor più devastanti per le condizioni di lavoro e le relazioni industriali di quanto non promettesse la prima versione. A ben vedere, il legislatore poteva condensare l’intero articolo 8 in una sola riga che dicesse i contratti collettivi nazionali sono aboliti e con essi tutte le norme concernenti il diritto del lavoro”.
Così parlava Luciano Gallino. E, per quanto sbagliato o confuso potesse essere considerato, l’art. 8 voluto da Maurizio Sacconi non rimetteva in discussione l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che vieta i licenziamenti senza giusta causa nelle aziende con oltre 15 dipendenti. Quel tabù che il ministro Elsa Fornero ha chiesto di superare. I sindacati hanno preso cappello, Susanna Camusso, segretario della Cgil, ha ritrovato attorno al vecchio totem difeso da Sergio Cofferati un’unità tattica con la Fiom. E non ha risparmiato toni perentori dei quali la stessa Fornero si è “dispiaciuta”, prima di dichiararsi disposta, sollecitata dalla Cisl, a lavorare per salari più elevati. Attacchi personali e un linguaggio che pensava “appartenesse al passato” del quale nelle aule universitarie non si era accorta. Ma Luciano Gallino questa volta non parla.
La Repubblica, giornale politico, anzi giornale-partito stando alle accuse di chi l’ha invidiato e poi ha cercato di imitarlo, di tutto questo dà conto in modo oggettivamente professionale. Un titolo ieri a pagina 4: “Articolo 18, sindacati in trincea contro Fornero”. Una cronaca puntuale e distaccata. La foto delle tre dame di ferro protagoniste di un duello sociale alto, drammatico, appassionato: la Camusso, la Fornero, Emma Marcegaglia. Aspettando Luciano Gallino. Magari scriverà oggi. Finora ha lasciato i fan a corto di argomenti per gli stanchi talk-show.
Al suo posto, ieri ha parlato sul sito del quotidiano diretto da Ezio Mauro, nella quotidiana finestrella televisiva, Massimo Giannini, vicedirettore, responsabile dell’inserto Affari & Finanza. “E’ un enorme pericolo”. Occorre invertire l’ordine, la testa è il welfare, quindi invece di chiedere più flessibilità bisogna offrire più protezione per tutti sul modello scandinavo. In una crisi come questa, le grandi aziende non assumono perché non c’è domanda, non perché non possono licenziare. A quelle piccole l’art. 18 non si applica. Dunque, “sembra un falso problema”.
Non c’è che dire, Giannini tira la volata e dietro la curva sembra già pronto l’agile Gallino. Chissà. Certo, la Repubblica cammina sulle uova. Ha in casa Tito Boeri, teorico del contratto unico, una delle carte che la Fornero vuol giocare (anche se non piace troppo alla Confindustria). Non solo. Negli ultimi tempi a Largo Fochetti è entrato il presidente della Adam Smith Society, Alessandro De Nicola, liberista puro e duro così come Alberto Bisin (anche lui new entry) e Alessandro Penati che finalmente riesce ad arrivare in prima pagina. Poi c’è l’Europa, faro dell’ideologia Repubblicana. La Bce non molla e Barroso anche ieri ha battuto sul tasto dolente chiedendo la riforma del mercato del lavoro.
Spiazzato dalla ritirata berlusconiana e dalla carica bocconiana, il quotidiano si apre al dibattito. Giannini, il quale in passato ha valorizzato la pressione di Mario Draghi, allora governatore della Banca d’Italia, per “una maggiore flessibilità in uscita”, sa bene di quanti “falsi problemi” sia disseminato il cammino della riforma. Le grandi imprese non assumevano nemmeno quando c’erano picchi di crescita, come nel biennio 2005-2006, a metà del decennio 90, o prima ancora. L’Istat, il Censis, Mediobanca, Bankitalia e quant’altri, stimano che il nanismo dell’industria italiana si spiega anche con l’esigenza di sfuggire ai vincoli, cominciando proprio dall’art. 18, il quale in realtà ostacola non tanto i licenziamenti, ma le assunzioni dei giovani.
Quanto al famoso modello scandinavo, analisti e commentatori sono rimasti ai tempi di Anita Ekberg. Oggi il sussidio di disoccupazione copre molto, molto meno della cassa integrazione. Non parliamo delle pensioni. Tornati al governo in Danimarca, i socialdemocratici stanno pensando di ritoccare al rialzo le prestazioni. Loro non hanno l’euro e (forse) se lo possono permettere. In Svezia, dove sono al governo i conservatori, non ci pensano nemmeno, anche se lì gli operai stanno peggio degli odiati cugini.
Falsi miti, falsi problemi, falso dibattito, coperto da tiri di sbarramento o manovre intimidatorie. Una vera trappola politica per il Pd, dilaniato tra riformisti e massimalisti come l’antico Psi dell’era giolittiana.
En attendant Gallino.

Fonte: Il Foglio del 21 dicembre 2011

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