• lunedì , 14 Ottobre 2024

La strada delle riforme europee e l’obbligo della semplicità.

Oggi a Bruxelles si tiene la riunione dell’Eurogruppo (ossia dei Ministri dell’Economia e delle Finanze dei 16 Stati che fanno parte dell’unione monetaria) e subito quella dei 27 dell’Ue, ossia l’Ecofin vero e proprio. E’ una sessione “straordinaria” l’Eurogruppo dovrebbe delineare il “nuovo patto di crescita e stabilità”, l’Ecofin una serie di nuove misure di monitoraggio e vigilanza sull’insieme dell’Ue a 27 e soprattutto la posizione “europea” all’ormai imminente assemblea annuale del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca mondiale in calendario a Washington a ottobre.
L’attenzione è naturalmente puntata sul “nuovo patto di stabilità”. Non dovrebbe trattarsi unicamente di un lavoro di manutenzione ed aggiornamento del “patto” concluso quando entrò in circolazione l’euro, a sua volta modellato su alcuni articoli del Trattato di Maastricht. A 20 anni circa della formulazione dei cinque parametri (poi diventati due: indebitamento netto e stock di debito in rapporto al Pil), una revisione sulla base dell’esperienza sarebbe stata comunque necessaria. In effetti, ne venne effettuata una nel marzo 2005 tramite un “protocollo interpretativo” che ne rendeva l’applicazione più flessibile. Ora, dopo i timori di una crisi finanziaria tale da coinvolgere pesantemente i titoli di Stato di vari Stati dell’Eurogruppo (Grecia, Portogallo e Spagna, in primo luogo) non si tratta semplicemente di serrare i freni (tornando alla lettera ed allo spirito di una dozzina di anni fa) ma di dare nuovi concetti e nuovi contenuti all’accordo di base dei soci del Club dell’euro.
Nessuno si illude che la sera del 7 settembre 2010 i Ministri possano parafare una bozza di trattato da portare alla firma dei Capi di Stato e di Governo e subito dopo a ratifica parlamentare.Si spera, però, di potere definire l’architrave. Essa dovrebbe essere composta da due nuovi acronimi “SCP” (Stability and Convergence Program-Programma di Stabilità e di Convergenza) e “NRP”(National Reform Program–Programma Nazionale di Riforme). Il secondo,ossia le riforme, indicherebbe gli strumenti per dare corpo al primo,la stabilità finanziaria e la convergenza economica. La novità procedurale sarebbe l’organizzazioni di sessioni di bilancio parallele negli Stati dell’euro. E’ un’innovazione che ha una portata molto più limitata di quanto non si voglia fare apparire: già da anni i principali Stati del gruppo (Francia, Germania, Italia, Spagna) e molti dei minori hanno adottato esercizi di bilancio che più o meno coincidono con l’anno solare e, di conseguenza, la presentazione del bilancio preventivo avviene in autunno e la sessione di bilancio termina verso Natale. Il significato sarebbe maggiore se il nuovo “patto” prevedesse che tutti gli Stati dell’area dell’euro passassero al bilancio “di cassa” (come ha fatto l’Italia) ed a classificazioni di bilancio analoghe. Sono traguardi non irrealistici, nell’arco – ad esempio – di cinque anni e tali da fornire le basi ad una politica di bilancio comune da poter giustapporre ad una politica della moneta anche essa comune.
Questi strumenti comporterebbero una batteria di indicatori quantitativi che non sostituirebbe gli attuali ma li arricchirebbe. Per quanto si possa auspicare che il nuovo “patto” non tratti solo di deficit annuale e stock di debito pubblico in rapporto al Pil e che vengano introdotti indicatori di economia reale, d’occupazione e di situazione sociale, occorre fare attenzione: l’Ue ha avuto la tendenza ad ampliare la gamma degli indicatori tanto da rendere le politiche ingestibili o, peggio ancora, di invitare implicitamente a truccare i numeri. Il destino dei “protocolli di Lisbona” che nel marzo 2000 avrebbero dovuto rendere l’Ue l’area più dinamica del mondo dovrebbe essere un monito a non strafare ma anzi a tenersi il più essenziali possibile.

Fonte: Avvenire 7 settembre 2010

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