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La prossima missione di Draghi

Toccando ferro, perché altri – specie i politici – possono ancora commettere errori, Mario Draghi ha salvato l’euro. Di questo potrà farsi merito in silenzio giovedì, quando festeggerà il suo primo anno alla guida della Banca centrale europea. I mercati gli danno fiducia; cominciano a rientrare in Spagna, e perfino un poco a quanto pare in Grecia, i capitali che erano fuggiti.
Si può dire che ha reso la Bce più anglosassone e meno tedesca. Certo non ci sarebbe riuscito se non si fosse conquistato l’appoggio di Angela Merkel. La cancelliera ha trovato il coraggio di contraddire la Bundesbank, raro nel suo Paese, e di dare fiducia a quell’italiano che nelle settimane scorse è stato in Germania paragonato a Mefistofele o a una insidiosa sirena capace di condurre al naufragio, quando non insultato e basta.
Nell’inverno il sostegno alle banche con prestiti triennali, l’estate scorsa l’impegno ad appoggiare gli Stati in difficoltà; anzi i dodici mesi Draghi li ha già festeggiati ieri con un’altra iniziativa. Il messaggio dell’intervista a Der Spiegel è che solo con più Europa, non con una difesa retrograda dei poteri degli Stati nazionali, le democrazie dell’euro possono riconquistare sovranità sul non democratico potere dei mercati finanziari. Resteranno sorpresi quelli che dall’estrema sinistra o dall’estrema destra accusano i dirigenti della Bce, «non eletti dal popolo», di voler imporre una crudele e iniqua sudditanza ai mercati. Tutto il contrario. Le parole di Draghi richiamano il caloroso manifesto europeista pubblicato qualche settimana fa da due politici molto diversi per collocazione, il liberale belga Guy Verhofstadt e il Verde Daniel Cohn-Bendit, ex leader del ’68 francese.
La Bce, unica vera istituzione federale, si conferma forza motrice dell’Europa. Era un processo già cominciato sotto Jean-Claude Trichet; Draghi, che all’abilità diplomatica del predecessore aggiunge maggiore competenza monetaria, lo accelera nell’urgenza dei tempi. Non si tratta di una scelta politica, che ai banchieri centrali non compete; solo dell’indicazione pratica, da parte di tecnici, di quale sia l’unica via d’uscita dal pasticcio in cui i 17 Paesi dell’euro si sono cacciati.
Ancora non sappiamo misurare quanto sia stata ardita la scommessa di Draghi quando il 26 luglio ha dichiarato che «avrebbe fatto tutto il necessario» per salvare l’euro. Aveva già il consenso del direttorio a 6 dell’Eurotower; non quello di tutti i 17 governatori delle banche centrali nazionali (come si sa Jens Weidmann della Bundesbank non glielo ha dato mai). La versione ufficiosa è che abbia informato il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble subito dopo, dato che la Bce deve essere autonoma dai governi, anche dai più potenti. Però è lecito sospettare che il via libera l’avesse avuto prima.
Pur nel rispetto dei confini legali tra tecnica e politica, le responsabilità si intrecciano. Già da subito altre prove attendono la Bce, specie per compiere il grande passo avanti su cui al contrario Berlino frena, la cosiddetta unione bancaria. Dal 2014 non dovrebbe più accadere che organismi nazionali vietino a una banca di spostare i fondi in eccesso che detiene in un Paese dell’euro verso un altro Paese dove le imprese hanno fame di crediti (è accaduto); né che in uno Stato si chiuda un occhio sui cattivi affari di certe banche per non turbare equilibri di potere interni. Quando, ingrandita e potenziata, la Bce vigilerà sulle banche, dovrà essere ancor più capace di opporsi a pressioni politiche. Perché ci riesca è essenziale che conservi e rafforzi la fiducia della collettività. Una delle prossime mosse di Draghi potrebbe essere di rendere più trasparenti i dibattiti che si svolgono all’interno.

Fonte: La Stampa del 29 ottobre 2012

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