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La partita di Washington e il futuro dell’Occidente

Repubblicani e Democratici si sono affossati al Congresso Usa in una guerra di trincea sul bilancio e sul debito pubblico così furiosa da aver perso oramai di vista perfino le proprie motivazioni. Impossibile avere nostalgia di Roma: il leader democratico chiama i suoi avversari «banana republicans». Un senatore repubblicano gli risponde: «Urleremo così forte che alla fine ci dimenticheremo il perchè». Senza motivazione realistica. Proprio come la sparatoria a Capitol Hill in cui giovedì ha perso la vita una donna che voleva sfondare con l’auto i cancelli della Casa Bianca e che è diventata la tragica rappresentazione di quanto avveniva nelle stesse ore dentro il Congresso.
Inseguendo la sua frangia più radicale, il partito repubblicano ha impedito un accordo sul bilancio e un aumento del tetto al debito pubblico, con l’obiettivo di protestare contro la riforma sanitaria di Obama ormai già attuata. La risposta dell’Amministrazione è stata un grido di allarme tanto grave da sembrare altrettanto implausibile: gli Stati Uniti rischiano il default. Per ora il risultato di una tale e inutile debacle politica è stato lo «shutdown», cioè la chiusura di tutti i servizi pubblici non strettamente indispensabili. Ma in una prospettiva più lunga, se a Washington non tornerà un po’ di buon senso, le conseguenze possono diventare ben più gravi.
Come ha espresso in una nota il Tesoro Usa, i mercati potrebbero infatti perdere fiducia nella capacità degli Stati Uniti di ripagare i propri debiti. Il rendimento dei titoli pubblici decennali è ancora molto basso, ma è aumentato di colpo di fronte alla prospettiva che entro il 17 ottobre il governo Usa non sia in grado di rimborsare i titoli in scadenza. A sua volta l’aumento dei tassi pregiudica la situazione fiscale del governo e si ripercuote ulteriormente sui cittadini.
Per capire l’importanza per gli europei delle decisioni di Washington, basti dire che la convergenza degli spread nell’area euro si è interrotta nell’aprile-maggio scorso in coincidenza con il temuto aumento dei tassi d’interesse americani e con l’incertezza sulla politica della Fed.
Per le stesse ragioni il Fondo monetario ha rivisto al ribasso la crescita in tutti i paesi emergenti. Infine l’attuale impasse americana sta rafforzando l’euro rendendo più difficile l’uscita europea dalla recessione.
Occhi italiani possono riconoscere i guasti di una retorica politica esasperata che si ritorce contro gli stessi elettori. Per trovare un accordo su un nuovo tetto del debito, i repubblicani chiedono che Obama revochi la riforma sanitaria da tempo approvata e già entrata in vigore. Una richiesta priva di ogni realismo politico. Il 75% degli americani d’altronde disapprova lo «shutdown» come forma di pressione per obiettivi ideologici. Perfino coloro a cui la riforma sanitaria non piace sono contro la «chiusura». Solo gli aderenti al Tea-party sono in maggioranza favorevoli (57%).
Per non aprire nessuno spiraglio alla revisione della riforma sanitaria, il partito democratico e l’Amministrazione enfatizzano l’allarme «default», imputandone la responsabilità agli avversari. Nessuno pensa ragionevolmente a un vero default in stile greco. Gli Usa hanno stratagemmi per evitarlo anche all’ultimo momento, per esempio emettendo altri titoli che il mercato comprerebbe certamente. Ma senza un accordo politico al Congresso, è probabile che per ripagare gli interessi dei titoli pubblici l’Amministrazione sia costretta a tagliare altre spese. Ogni settimana di shutdown infatti costa all’economia una minore crescita dello 0,1-0,2% del pil. Nell’ipotesi estrema in cui l’accordo sul debito mancasse del tutto, l’effetto restrittivo sull’economia americana nel 2014 sarebbe considerevole: è stimato in misure diverse, dall’1,5% del pil fino al 6%.
Ora, è difficile sopravvalutare le conseguenze di un tale scenario. Il solo annuncio di una normalizzazione futura della politica monetaria americana ha fermato la crescita in Asia e la convergenza in Europa. Un brusco arretramento della crescita Usa farebbe tornare la recessione in gran parte delle economie avanzate. Un default formale, anche solo l’incapacità temporanea di ripagare i titoli pubblici in quello che i mercati considerano il paese più sicuro del mondo, metterebbe a rischio i debiti pubblici di tutto il mondo. In un certo senso metterebbe in dubbio il potere economico dei governi, la credibilità degli Stati, e perfino la superiorità delle democrazie.
Tra le regole di funzionamento della democrazia c’è che i compromessi cominciano a prendere forma non appena uno dei due contraenti capisce che gli elettori non sono contenti di come sta conducendo il confronto. In effetti i sondaggi indicano che i repubblicani sono un po’ più penalizzati dei democratici. Ma ogni giorno che passa sta dimostrando che – più che un partito rispetto all’altro – a perdere consensi è l’intero sistema democratico. Per questo la partita di Washington non è solo diversa da ogni precedente storico, ma è importante per capire il futuro incerto dell’Occidente.

Fonte: Sole 24 Ore del 5 ottobre 2013

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