• giovedì , 12 Dicembre 2024

La contraddizione tra stabilita’ e crescita

Rassegnandosi alla recessione, le vicende dell’area euro continueranno a migliorare solo nel peggiore dei modi possibili. Infatti i grandi squilibri finanziari tra le economie europee si riducono proprio a causa del calo dell’attività economica. I flussi di capitale che scuotevano lo spread si acquietano e noi ci compiaciamo in un’illusione di stabilità.
Si tratta di un paradosso che si riflette direttamente nella politica. In Italia per esempio, con lo spread stabile, anziché di crescita o di cambiamento i partiti parlano soprattutto di quali tasse tagliare e di quali aumentare. Altrove i toni sono più drammatici.
A giorni alterni sembra che Grecia, Cipro o Portogallo arrivino sull’orlo della rottura. I partiti dimezzano i consensi, le manifestazioni di piazza si affacciano alle porte dei parlamenti, i ministri si dimettono. Poi il miracolo si compie. L’ancoraggio europeo limita le fantasie. Non ci sono rotte alternative. L’onda rientra.
Come in Italia, nemmeno in Grecia o Portogallo si discute di quale sia il modello di business del paese per tornare a crescere. Ieri la troika (Ue, Bce e Fmi) ha confermato più o meno controvoglia il pagamento di una tranche vitale degli aiuti alla Grecia. In cambio Atene dovrà tagliare fino a 25mila dipendenti pubblici, ma il governo si sente rafforzato dall’accordo, come se avesse gettato fuori bordo la zavorra. Il Portogallo ha vissuto una grave crisi politica provocata dal peggioramento dell’economia e da una terapia che non funziona. Ma tutti concludono che non c’è altra scelta e anche i mercati si sono accontentati. Dopo cinque anni di straordinari, perfino il virus del contagio sembra esausto.
Questa tranquillità è ingannevole proprio perché è il frutto dell’unica strategia che contiene in sé la propria sconfitta: una prolungata recessione. Riducendo la domanda interna e le importazioni, i paesi della periferia hanno portato in equilibrio i loro conti con l’estero. In tal modo sono diminuiti i capitali stranieri necessari a finanziare i disavanzi dei paesi meno competitivi. Gli stessi deficit di finanza pubblica sono stati coperti in misura sempre più grande da banche e risparmiatori nazionali. Una base molto più stabile rispetto agli investitori globali. Così gli spread sono calati, proprio perché calava il pil. D’altronde, il rimpatrio dei capitali non è stato solo un’inversione di rotta rispetto all’unione monetaria, ma è stato anche una delle ragioni della scomparsa del credito ai privati nei paesi in difficoltà.
Ancora una volta siamo finiti in una contraddizione tra stabilità e crescita. Avere spread stabili ha reso la politica troppo compiacente verso l’assenza di crescita. Ieri Mario Draghi ha denunciato al Parlamento europeo la gravità di una recessione prolungata, definita «il principale rischio sistemico». È suonata come un’accusa all’inerzia – nazionale ed europea – a cui la Bce deve continuamente sopperire.
Anche la Germania risente del rallentamento nell’area dell’euro. Ma il paese ha già intrapreso una nuova strategia di sviluppo: attraverso la digitalizzazione delle produzioni industriali, i tedeschi sono convinti di potersi assicurare altri dieci anni di vantaggio sui concorrenti. Così all’uscita dall’ultimo Consiglio europeo, la Cancelliera Merkel derideva i suoi colleghi: «Pensate che qualcuno di loro è convinto di crescere aumentando gli investimenti pubblici». Un istituto di ricerca berlinese stima che se la Germania avesse un livello di investimenti pubblici nella media europea, il suo pil potenziale salirebbe dall’1,25 al 2,25 per cento. Ma non è questa la strategia della Cancelliera.
Dopo il 22 settembre, se avrà vinto elezioni più gravide di incognite di quanto si creda, Merkel vuole una riunione tra i governi dell’euro per fare chiarezza su che cosa sia importante per la crescita. A dicembre vuole che siano approvati i Trattati bilaterali con cui tutti i paesi dell’euro si legheranno a programmi pluriennali di riforme strutturali. Dopo sarà possibile creare un misterioso “Fondo di solidarietà” con cui finanziare le riforme.
È probabile che sottovalutare la natura politica delle riforme e il disagio sociale della crisi sia un altro errore, così come lo è stato l’eccesso di austerità. Ma almeno la strategia ha il pregio di non rassegnarsi alla recessione. Così l’unica speranza che ci resta è che anche nell’algebra dell’economia due politiche negative diano un risultato positivo.

Fonte: Sole 24 Ore del 9 luglio 2013

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