• sabato , 5 Ottobre 2024

Impegno giusto, frutti non immediati

Combattere l’evasione tributaria è cosa buona e giusta. Utilizzo il termine «evasione tributaria», e non «evasione fiscale», perché il secondo, preso dall’inglese, vuole dire qualcosa di differente rispetto a quanto generalmente si intende: nell’accezione più corrente vorrebbe letteralmente dire «sfuggire dalla politica di bilancio» non da tasse, imposte, accise e altri tributi dovuti allo Stato in cambio di beni pubblici (democrazia, difesa nazionale, sicurezza interna) e di beni sociali (istruzione, sanità, ridistribuzione delle opportunità e dei redditi) che esso ci rende.
In Italia l’evasione tributaria è elevata. Secondo alcune stime di Kpbs Network Business Ethics, un’organizzazione non governativa impegnata sui campi dell’etica pubblica, raggiungerebbe il 50% del reddito imponibile di persone e imprese.
Secondo altre, come il Fondo monetario, l’Ocse, la Commissione Europea – sarebbe invece sul 20-25% del reddito imponibile. Alcuni la stimano al mero 15%. È di certo diminuita negli Anni Novanta, per riprendere a dilatarsi nell’ultimo lustro. E c’è una forte correlazione tra la shadow economy
(l’economia ombra, da noi chiamata ‘sommersa’) e l’evasione. Non solamente il fenomeno pone sulle spalle di chi non può e/o non vuole evadere, l’intero peso della produzione di beni pubblici e di beni sociali, ma rappresenta un incentivo a sfuggire da un peso per molte categorie effettivamente troppo pesante. Quindi, anche i cittadini che vorrebbero essere ligi nel contribuire al bene comune dedicano parte importante del loro tempo e delle loro energie non a produrre, ma a cercare modi per pagare meno del dovuto minimizzando il rischio di essere colti in fallo. Il danno è duplice: la perdita di gettito e le distorsioni nei comportamenti pure di coloro che vorrebbero essere ligi.
La centralità alla lotta all’evasione posta dal Governo nella nuova versione della manovra di stabilizzazione finanziaria e di crescita economica è, senza dubbio, obiettivo da condividere. Tuttavia, due problemi devono essere affrontati nell’immediato: da un lato, alcuni suoi aspetti destano perplessità sulla loro efficacia, non tanto alle categorie che ne sarebbero colpite quanto ai tecnici di scienza delle finanze e di diritto tributario; da un altro, i tempi, i modi e i costi di transazione associati alle misure.
Per il momento, lasciamo agli specialisti il primo gruppo di problemi: mentre gli esperti della materia tentano di giungere a un accordo su cosa può essere più o meno efficace nel contrastare l’evasione, analizziamo il tema dei tempi, dei modi e dei costi di transazione.
Le riforme tributarie, infatti, non danno risultati dalla sera alla mattina. Axel Dreher e Friedrich Schneider, ambedue distinti e distanti dalle nostre beghe, concludono che ci sono voluti dieci anni perché le misure anti-evasione dell’ultimo Governo Andreotti (con Rino Formica alle Finanze) del 1989-91 plasmassero il sistema e dessero gli esiti voluti. Qualsiasi riforma, inoltre, comporta costi di transazione dal vecchio al nuovo (formare schiere di funzionari e di ragionieri-commercialisti, abituarli alle nuove regole, fare sì che esse diventino prassi). Spesso, in materia tributaria, i costi di transazione provocano una caduta di gettito nel percorso dal vecchio al nuovo – caduta ampiamente compensata alcuni esercizi più tardi se il nuovo è più efficace del vecchio. Le vie della lotta all’evasione tributaria e i loro tempi, in sostanza, sono lunghi.
Ben inteso, prima si comincia meglio è. Ma se si inizia nell’agosto-settembre 2011, non illudiamoci di avere esiti nel 2012 e nel 2013. Il quadro è migliorato rispetto al 1989-91. I primi dividendi, se verranno, arriveranno probabilmente verso il 2015-2016.

Fonte: Avvenire del 4 settembre 2011

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