• martedì , 3 Dicembre 2024

Il problema resta il debito pubblico

Dopo tanto silenzio sulla proposta di chiara impronta deflazionistica di riportare verso il basso i livelli dei debiti pubblici attraverso ripetuti avanzi annuali dei conti pubblici, è apparsa sul Corriere della Sera di qualche giorno fa una proposta del collega Vincenzo Visco che ricalca quella che questo giornale ha avanzato subito dopo la proposta della Merkel, ribadendola quando questa linea di politica economica è stata ratificata a Toronto dal G20. Rientrare dal debito pubblico con avanzi di bilancio pubblico continuativi per almeno 10 anni, anche ammesso che lo si possa ottenere attraverso riduzioni di spesa, equivarrebbe a ciò che abbiamo definito “una deflazione studiata a tavolino”, l’unica della storia economica. Infatti tutte le deflazioni osservate non sono state programmate, ma sono il risultato di errori involontari di politica economica o di eventi particolari, come lo fu l’aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi negli anni Settanta del secolo scorso.

La nostra e la sua proposta coincidono nel prevedere che le eccedenze di debito pubblico sul Pil, in percentuale da concordare internazionalmente, debbano essere “parcheggiate” presso un fondo internazionale allungando i termini di scadenza, fissando un tasso proporzionale all’entità, ma garantendone il rimborso. Rispetto a noi, Visco collega questo rimborso all’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, da altri inopportunamente battezzata “Tobin tax”, approfittando del fatto che l’illustre studioso non può smentirne la paternità. Non condivido l’eccessiva propensione a coinvolgere le tasse ogni volta che ci sia un problema economico da risolvere e mai nel senso della riduzione; ma ritengo che sia un fatto importante la rottura del fronte di coloro che sostengono che il rigore fiscale, a prescindere dal modo in cui si ottiene e dal livello di debito da cui muove, sia un bene per lo sviluppo. Il rigore fiscale richiede che vi siano le condizioni perché venga applicato, altrimenti avremmo effetti negativi a catena che potrebbero ritorcersi sull’obiettivo stesso.
Noi riteniamo però che non debba darsi vita a una nuova istituzione, ma rivitalizzare il Fondo monetario internazionale, trasformando la denominazione in diritti speciali di prelievo del debito pubblico parcheggiato, per ottenere l’effetto di garanzia di valore per i detentori di titoli in dollari o altre valute e, con esso, la stabilizzazione dei valori di Borsa dei titoli che restano in circolazione. I grandi possessori di titoli in dollari, come la Cina, dovrebbero vedere di buon occhio l’operazione. Ma anche gli Stati Uniti dovrebbero essere interessati, date le proiezioni sul loro debito, che hanno fatto parlare, senza escluderla, di un possibile declassamento dei loro rating. Ma, soprattutto, perché una siffatta operazione prelude concretamente al rigore fiscale, che potrebbe rimanere solo sulla carta perché affidato alla buona volontà degli Stati, al comportamento delle agenzie di rating o, con poca dignità degli Stati, alle minacce della speculazione.

Fonte: Il Messaggero del 17 luglio 2010

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