• domenica , 6 Ottobre 2024

I capitani coraggiosi che battono la crisi.Il coraggio degli imprenditori della fabbrica accanto.

Dai virtuosi del cashmere a quelli dei distretti. Ecco chi ha già battuto la crisi economica.
Guai ad affidarsi solo alla statistica per capire che cosa veramente succede all’economia reale. Una parte dell’imprenditoria italiana si è addirittura rafforzata. Per capire che cosa veramente sta succedendo all’economia reale guai ad affidarsi solo ai calcoli sulle medie statistiche. Racconta Innocenzo Cipolletta che ha appena ultimato un’indagine sui processi di ristrutturazione dell’industria italiana: «Crescita zero è un concetto che ormai spiega poco e niente. Anzi, nasconde molte cose. Non ci fa vedere come un pezzo dell’offerta italiana, quella capace di produrre valore aggiunto, si sia addirittura rafforzata. A scomparire sono state, invece, le aziende e le produzioni che non reggono la competizione con i nuovi Paesi produttori». Lo studio di Cipolletta uscirà sulla rivista Economia Italiana e servirà a comporre una fotografia inedita delle trasformazioni dell’industria italiana alla prese con: a) avvento dell’euro, b) globalizzazione, c) grande recessione. Tre terremoti che avrebbero deindustrializzato qualsiasi Paese che non avesse saputo reagire. Invece fortunatamente la risposta c’è stata e reca i volti degli imprenditori della fabbrica accanto, gente che ama il proprio lavoro più della mondanità/salotti e che quando deve scegliere un membro per il proprio consiglio di amministrazione recluta un abate benedettino, come ha fatto nei giorni scorsi l’imprenditore umbro Brunello Cucinelli. Prima matricola di Borsa del disgraziato anno 2012, Cucinelli ha imposto al mondo il suo cashmere tanto da aumentare il fatturato negli ultimi due anni del 51% e produrre, in soli dodici mesi, 30 milioni di utili.
Il virtuoso del cashmere non è una mosca bianca. Secondo uno studio della società di consulenza milanese Pambianco ci sono una cinquantina di società quotabili del settore moda-abbigliamento e quasi tutte hanno un proprietario unico che coincide con il fondatore. Godono di ottimi brand, macinano utili e stanno attraversando la tempesta convinti di farcela, tanto che le banche d’affari li corteggiano per accompagnarli in Piazza Affari. Michele Tronconi, presidente di Sistema Moda Italia, è convinto che a determinare la forza dell’offerta italiana sia la struttura di filiera che ci rende più continui dei francesi, specializzatisi invece nel retail. L’economia di filiera sembra così essere l’italian way per reggere alla crisi perché garantisce specializzazione continua assieme a flessibilità organizzativa.
Altre sorprese arrivano dai distretti. Ciclicamente qualche guru — di quelli che parlano sempre ma non studiano mai — ne decreta ipocritamente la morte. Poi vengono pubblicati i numeri e arriva la smentita. Ben 25 hanno superato i livelli pre-crisi, ovvero in piena tempesta (2011) hanno fatturato di più del 2008, quando è iniziata la tormenta. Al primo posto di questa speciale classifica stilata dal Servizio studi e ricerche di Intesa Sanpaolo c’è il distretto della pelletteria e delle calzature di Firenze, cresciuto rispetto al 2008 del 24,5%, 450 milioni di euro in più. Griffe come Gucci, Ferragamo, Prada producono qui a conferma di una tradizione di eccellenza dovuta a competenze artigianali, qualità dei materiali e ricerca stilistica. Dopo Firenze spunta l’oreficeria di Valenza, in provincia di Alessandria. Il numero delle imprese è calato in questi anni ma il distretto è cresciuto, si sono salvati quelli che hanno continuato a credere nell’azienda e investito in tecnologia. Risultato: i grandi marchi continuano a comprare a Valenza. Anche i vini delle Langhe, Roero e Monferrato, hanno venduto nel 2011 ben 200 milioni di euro in più rispetto agli anni pre-crisi e precedono le macchine per l’imballaggio di Bologna, che si possono tranquillamente consolare visto che hanno sfondato in Cina, diventata il loro mercato più importante.
Insistono nel macinare ordini anche gli industriali delle macchine utensili, quelli del sistema Ucimu. Sono all’ottavo trimestre consecutivo di crescita e quasi sempre con percentuali a due cifre. Anche nel primo trimestre del 2012 l’incremento sarà almeno del 10%, grazie però ai mercati esteri che apprezzano anche un made in Italy tecnologico, non solo quello degli Armani e dei Prada. Un colosso come Caterpillar per i suoi torni chiama l’azienda varesina Pietro Carnaghi mentre la bergamasca Losma ha appena vinto una commessa della tedesca Thyssen.
Accanto a storie di sistema (filiere, distretti, sistemi organizzativi) ci sono anche molti exploit individuali. Singoli imprenditori che non si sono fatti spaventare dalla recessione e hanno trovato la formula e i mercati giusti. E ora non si vogliono fermare. Sandro Veronesi, il patron del gruppo Calzedonia, esponente di punta della nouvelle vague del made in Italy democratico, per il terzo anno consecutivo ha superato il fatturato di un miliardo di euro, cresce al ritmo del 15% e dopo aver raggiunto in Italia una copertura capillare del territorio vuole aprire altri 400 negozi in giro per il mondo. Calzedonia è un laboratorio del mondo del lavoro che verrà, visto che il 92% dei suoi dipendenti è donna e il 74% di entrambi i sessi ha meno di 30 anni. I piemontesi della Grom, Federico Grom e Guido Martinetti, hanno puntato sulle gelaterie artigianali e stanno sfondando. Nel centro storico delle città italiane quando si vede una lunga coda, due volte su tre è di patiti del gelato Grom. Fatturato circa 23 milioni di euro, hanno già 55 negozi di proprietà e ne aprono almeno una dozzina l’anno. Il loro credo è la qualità e i frequentatori abituali delle gelaterie Grom (una piccola setta, ormai) sostengono che da città a città il gusto non cambia ed è riconoscibilissimo. Hanno aperto punti vendita a New York, a Parigi e Tokio ma a decretare il loro successo è stato il mercato interno, quello che invece rappresenta l’autentica dannazione di tanti altri colleghi che non hanno mezzi, idee e prodotti per tentare la strada dell’export.
Di stretta osservanza slow food come i fondatori della Grom è anche Oscar Farinetti da Alba, l’inventore di Eataly, il supermercato del cibo italiano di qualità. In un’Italia che perde posti di lavoro, Farinetti ne promette altri 400 prima dell’estate e 150 aggiuntivi entro fine anno. Le banche lo corteggiano per creare assieme delle trading company con cui tentare la strada dei Bric, a Milano il suo sbarco nella centralissima Porta Garibaldi sarà di sicuro un evento. «In un momento così duro bisogna investire. Ci vuole coraggio, inventiva e tenacia» è il motto di Mister Eataly. Direte che Grom e Farinetti sono degli unicum, che la crisi non consente voli pindarici, che i portafogli languiscono, il credit crunch impazza e il coraggio imprenditoriale da solo non basta. Ma basta girare un po’ per trovare storie di successo che magari non arrivano nemmeno all’onore dei giornali. A Milano tutti conoscono la pizza al taglio Spontini, un business nato in un piccolo locale vicino corso Buenos Aires che puntava sul menu ridotto, il servizio rapidissimo e i prezzi bassi. Beh, ora Spontini è diventato un brand, già sono quattro i locali e il quinto aprirà nei primi mesi del 2013. La famiglia Innocenti che possiede il marchio dopo la pizza formato fast food sta puntando sulle birrerie con BirraMi e per il 2014 vuole aprire anche a Torino, Verona, Bologna e Firenze. Anche la storia del Birrificio Lambrate (Milano) è poco conosciuta nonostante abbia avuto l’onore di una citazione sul New York Times. È un pub con fabbrica annessa che punta sull’artigianalità e si sta avvicinando al milione di euro di fatturato. I grandi marchi avrebbero voluto integrarlo ma i proprietari hanno detto di no e proseguito per la loro strada. Puro orgoglio artigiano.
La Granarolo (latte) è una cooperativa ed era data per spacciata dopo che i francesi della Lactalis avevano comprato Parmalat. A un anno di distanza Granarolo non solo non ha mollato la sfida ma ha deciso di raddoppiare il fatturato in 4 anni e sta per lanciare sul mercato due prodotti innovativi: il primo latte fresco pastorizzato per bebè e il primo latte fermentato per gli immigrati musulmani in Italia. Gli Orsero, Raffaella e Antonio, amministratore delegato e presidente di GF Group, erano i distributori storici della frutta Dal Monte in Italia e si sono lanciati proprio ora in una nuova avventura. Entrano nel mercato internazionale della frutta esotica (ananas e banane) con un proprio brand e un posizionamento di marketing elevato. Hanno iniziato con una robusta campagna di comunicazione (circa 5 milioni di euro) per far conoscere il marchio Orsero, puntano nel giro di un anno a conquistare il 10% del mercato. Chapeau per il coraggio e la determinazione. La stessa che anima i proprietari del gruppo bolognese NoemaLife (informatica sanitaria) che partita dall’idea di tre ingegneri elettronici — Francesco Serra, Angelo Liverani e Cristina Signifredi — in dieci anni ha acquisito 12 società del settore portandosi a circa 50 milioni di fatturato e con una crescita che nel 2011 è stata del 13%. L’ultimo blitz NoemaLife l’ha fatto in Francia comprando la Medasys e così i bolognesi sono diventati il principale fornitore europeo di soluzioni informatiche per processi clinici.
Tra tanto protagonismo imprenditoriale una menzione finale va a uno studio di professionisti di Vicenza, Adacta. È il più importante del Nord Est e ha come clienti 400 società di capitali del territorio. Conta ben 116 unità tra partner e dipendenti e nei mesi scorsi ha preso una decisione che in tempo di recessione fa sicuramente tremare i polsi. La vecchia sede non ce la faceva più a contenere gli Adacta boys e così è stato deciso di affittare addirittura un’antica villa sulla strada che collega Vicenza e Marostica. I lavori fervono e il presidente Diego Xausa spera di mandare gli inviti per il vernissage prima di Natale. Se non è ottimismo questo…

Fonte: Corriere della Sera del 22 aprile 2012

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