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Germania, perche la frenata ha due facce

Sotto il profilo economico, la Repubblica federale tedesca ha nell’Unione Europea un pe¬so almeno tanto importante quanto quello che l’Impero Guglielmino a¬veva ai tempi di Otto von Bismarck: era così rilevante che un’accelerazio¬ne ed una frenata del suo andamen¬to economico avevano ripercussioni in tutto il ‘consesso’, anche negli Sta¬ti più lontani. Non era, però, abbastanza forte da potere risolvere tutti i pro¬blemi europei.

È tenendo presente questo retaggio storico (oggi at¬tuale quanto non mai) che occorre chiedersi se la con¬trazione del Pil tedesco nel secondo trimestre di que¬sto 2014 è una frenata op¬pure il segno di un cambio di marcia. In un docu¬mento, l’Economist Intelligence Unit sostiene l’ipotesi della frenata, ossia di una tendenza di breve periodo dovu¬ta in gran misura, sul piano interno, ad un forte rallentamento delle co¬struzioni (sia pubbliche sia private) a carattere temporaneo e, sul piano in-ternazionale, alle vicende dell’Ucraina e alle sanzioni alla Russia e relative contro-sanzioni. Sono gli stessi eco¬nomisti tedeschi, però, a non credere a questa ipotesi. Marcel Frantscher, di¬rettore del Diw di Berlino, ci dice con grande franchezza che «l’euforia sul¬l’economia tedesca è semplicemente fuori luogo». Il rallentamento ha poco o nulla a che vedere con l’Ucraina o con il Medio Oriente. Ha determinan¬ti interne di lungo periodo di cui sem¬briamo accorgerci solo ora.

In primo luogo, la coalizione allora al Governo ha forzato il Cancelliere Merkel ad uscire dal nucleare dopo l’incidente di Fukushima. Ciò ha ag¬gravato i costi di produzione del si¬stema industriale ed inciso anche sul reddito disponibile dei consumato¬ri: la recente legge sulle rinnovabili non ha alleviato l’incertezza sul fu¬turo della dipendenza e della politi¬ca energetica. Alla Deutsche Bank, fanno notare come grandi imprese industriali si stanno indirizzando ver¬so altri Stati dell’Ue per la localizza¬zione di impianti che richiedono un forte input di energia. Inoltre, la gran¬de coalizione sta facendo marcia in¬dietro su alcune delle riforme attua¬te dal governo Schroeder e dai primi due governi Merkel. Al Flossbach von Storch, istituto di ricerca economica di Colonia, si punta il dito sulla ‘con¬troriforma della previdenza’ (ora molte categorie possono andare in pensione a 63 anni, non più a 67 ) e all’aumento del salario mimino di 8,5 euro a 11.40 euro l’ora. Inoltre, si stan¬no per rendere più stringenti le rego¬le per i contratti a termine. Il mini¬stro dell’Economia, Sigmar Gabriel, ha invitato esperti stranieri a fornire suggerimenti. Da un lato, le modifi¬che di politica economica (energia, previdenza, norme lavoristiche) sco¬raggiano le imprese che «emigrano» in vicini Paesi neocomunitari. Da un altro ancora (capitolo poco noto in I¬talia), i Länder hanno una ragnatela di regole che per ragioni campanili¬stiche hanno in gran misura neutra¬lizzato le leggi Schroeder- Merkel per incoraggiare l’aumento delle dimen¬sioni industriali. In questo quadro, però,ci sono elementi incoraggianti: un tasso di disoccupazione appena del 6,7% della forza lavoro ed un de¬bito pubblico aggregato (Governo fe¬derale più Länder) che nell’ultimo se¬mestre è diminuito rispetto al Pil per la prima volta dalla fine della secon¬da guerra mondiale. Quindi, la Ger¬mania ha le carte per cambiare di nuovo marcia, accelerando. Dipen¬de dalla politica.

Fonte: Avvenire - 22 Agosto 2014

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