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Debito pubblico e privato sostenibili, risparmio, privatizzazioni. I numeri e le manovre del governo per convincere l’Europa e i mercati

I colloqui intensi tra Mario Monti, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese Nicolas Sarkozy e, prossimamente, con il premier britannico David Cameron, hanno l’obiettivo di accelerare il negoziato sul coordinamento delle politiche di bilancio – l’unione fiscale – in corso dal 9 dicembre 2011.L’intenzione, come è noto, è di giungere alla firma di un accordo entro fine marzo per l’entrata in vigore il primo gennaio 2013.
L’Italia viene spesso mostrata come il partner più debole. L’alto stock di debito pubblico in rapporto al Pil sarebbe il suo tallone d’Achille e, per curare il problema in modo drastico, la bozza iniziale dell’accordo conteneva anche la scure: l’obbligo di ridurlo dal 120 al 60% con manovre annuali pari ciascuna a un ventesimo del differenziale. Cioè 40 miliardi l’anno,euro più euro meno.Fortunatamente a questo punto del negoziato il testo è stato emendato, per tenere conto del ciclo economico generale e di altri elementi.Ma il nostro Paese, tra i grandi dell’area atlantica, è veramente quello maggiormente afflitto da un debito sovrano curabile solo con sanguinose amputazioni? I dubbi ci sono. E gli argomenti che il governo sta portando all’attenzione dei partner europei e dei mercati sono molte. Eccole.
Un debito solido. L’andamento del debito pubblico in percentuale sul Pil di Italia, Stati Uniti, Germania, Francia e Regno Unito ad esempio (Grafico «A») non è così drammatico come si pensa, per l’Italia. Il Bel Paese parte, nel 1990, con un rapporto debito/Pil che è diversi multipli superiore a quello degli altri ‘concorrenti’. Dopo una ‘gobba’ all’inizio degli anni Novanta torna al proprio livello storico, mentre gli altri quattro Paesi accusano un’impennata. Oscar Wilde amava dire che è «arduo fare previsioni che riguardano il futuro». Tuttavia secondo stime preliminari del Fondo monetario, «a politiche economiche invariate» il rapporto tra debito e Pil di Francia, Regno Unito e Stati Uniti supererebbe quello dell’Italia entro il 2015-2016, mentre solo quello della Germania decrescerebbe (non raggiungendo però il ‘fatidico’ 60% prima del 2020).Sempre secondo il Fmi, Stati Uniti, Grecia, Portogallo, Belgio, Francia e Spagna (in questo ordine) nel 2013 supererebbero l’Italia in termini di fabbisogno finanziario rispetto ai rispettivi Pil, per far fronte alle rispettive scadenze del debito pubblico. C’è, poi, un aspetto importante e poco noto. Il rapporto tra debito e Pil dell’Italia era, nel 1990, molto più alto di quello degli altri per determinanti storiche di lungo periodo.Un lavoro inedito di Antonio Pedone,professore emerito alla Sapienza e a lungo Presidente dell’Associazione di Economia Pubblica, mostra che il ‘rapporto’ ha superato il 60% per ben 111 esercizi finanziari nei 150 anni dalla creazione dell’unità d’Italia.Siamo spendaccioni? In parte sì, ma nella storia abbiamo mostrato di essere in grado di finanziarci e di metterci in riga quando si superano i livelli di guardia.
La garanzia del risparmio. Tradizionalmente, poi, gran parte del debito pubblico italiano è nelle mani dei residenti. Oggi lo è il 61%, mentre quello di altri è in gran misura nelle mani di non-residenti. È all’estero tre quarti di quello americano, l’85% di quello irlandese, il 60% di quello francese (grafico «B»).Una recente analisi di Edoardo Reviglio, Capo economista della Cassa Depositi e Prestiti e docente alla Luiss, dimostra poi che il debito totale italiano è inferiore alla media dell’Europa a 15 (grafico «C»). Ciò si spiega perché, tradizionalmente, gli italiani sono forti risparmiatori: nonostante il tasso di risparmio delle famiglie sia diminuito dal 17% del reddito disponibile nel 1990 al 6% di oggi, analisi della Banca mondiale confermano che resta superiore a quello degli altri maggiori Paesi ad economia di mercato (grafico «D»). Insomma, sono famiglie e imprese non finanziarie la spina dorsale del «popolo dei Bot», che ha tradizionalmente finanziato il debito pubblico. Nonostante la crisi che si trascina dal 2007, inoltre, le famiglie italiane sono relativamente poco indebitate (45% del Pil) rispetto a quelle francesi (55%), tedesche (62%), americane (92%) e britanniche (114%). Quindi,possono assorbire più debito pubblico di quanto non siano in grado di fare quelle degli altri Paesi. Il successo dei recenti «Btp Days» ne sono un indizio eloquente.
Ancora le famiglie italiane, poi,hanno mostrato notevoli capacità di assorbire manovre di finanza pubblica molto dure: tra il 1992 e il 1998, per entrare nel gruppo di testa dell’euro, sono stati effettuati aggiustamenti pari al 9,5% del Pil (solo quello del 1992-93 è stato pari al 6%). Nel corso del 2011 sono state varate ben tre manovre (luglio, agosto e dicembre) che, con costi altissimi, dispiegheranno i loro effetti almeno sino al 2014 (grafico «E») e contribuiranno in misura significativa a ridurre lo stock del debito.
Un patrimonio in periferia.L’Italia può poi giocare un’importante carta di riserva: il patrimonio delle pubbliche amministrazioni. È un asso nella manica asimmetrico:l’analisi di Reviglio mette il rilievo come il 94% del debito pubblico gravi sull’amministrazione centrale dello Stato mentre la periferia, cioè Regioni, Province e Comuni, detiene il ben 67% del patrimonio (grafico «F»), tra beni immobili,aziende municipalizzate e attività varie. Tutto ciò aggrava i costi della periferia: uno studio della Uil dimostra che le circa 6.000 imprese del ‘capitalismo municipale’ hanno 24.000 consiglieri d’amministrazione,a un costo di 2,5 miliardi di euro l’anno, e 80.000 consulenti. La ragnatela delle partecipazioni degli enti locali rende difficile una valorizzazione del patrimonio e un suo impiego per ridurre il peso del debito attraverso la privatizzazioni. Ma la montagna non è insormontabile. Ed è probabile che la «fase due» del programma di politica economica,annunciata per fine gennaio, contenga il grimaldello per sbrogliarla.
D’altronde, tra il 1995 ed il 2005 le privatizzazioni hanno contribuito in misura essenziale a ridurre il peso del debito. Ma il processo pare essersi interrotto a metà del decennio scorso: la più recente Relazione annuale sulle privatizzazioni al Parlamento da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze copre il periodo 2007¬ 2010 e riguarda principalmente vendite di diritti di opzione nell’ambito di operazioni di aumento di capitale (Finmeccanica, Enel, Seat), scambi di azioni tra Ministero e Cassa Depositi e Prestiti e cessioni da parte del Gruppo Fintecna, per un totale di poco meno di 1 miliardo di euro nei quattro anni presi in considerazione.Quasi in parallelo l’ultimo «Privatization Barometer Report» mostrava che nel 2010, nel mondo si portavano a termine 500 privatizzazioni per 160 miliardi di euro, uno dei valori più alti mai registrati nella storia, secondi solo ai 184 miliardi di euro nel 2009. Anche su questo fronte, dunque, dopo quello delle liberalizzazioni, si attendono grosse novità.

Fonte: Avvenire del 13 gennaio 2012

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