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Al Fondo Monetario è già lotta ai vertici

Al Fondo monetario internazionale, Dominique StraussKahn ha innovato molto nella sostanza. Forse la sua caduta segnerà una svolta più appariscente:il suo successore alla direzione generale potrebbe provenire, per la prima volta dopo 65 anni, da un Paese emergente anziché da un Paese europeo. Nulla dovrebbe cambiare, tuttavia, per i Paesi deboli dell`euro che il Fmi contribuisce ad assistere. Appena dieci giorni fa l`economista americano, e premio Nobel, Joseph Stiglitz, da una dozzina d`anni pungente critico delle idee ultraliberiste allora in voga al Fmi, autore di libri di successo dove al Fini si muovevano gravi accuse, ha riconosciuto che le cose sono cambiate.
Un recente discorso di Strauss-Kahn dove si indicavano come priorità «l`occupazione e l`equità sociale», lo provava, nelle parole di Stiglitz, «un leader sagace».
I dimostranti di Seattle 1999 e di Genova 2001 definivano il Fondo «cavallo di Troia dell`imperialismo americano».
Ma anche economisti moderati e fautori della globalizzazione esprimevano sospetti sull`enfasi con cui il Fmi raccomandava di aprire le porte ai capitali esteri ariche speculativi, seguendo i desideri delle banche di Wall Street. Ora il Fmi accetta limiti ai movimenti di capitali;invece di propagandare la tesi ideologica che i tagli alle spese pubbliche fanno bene, addirittura invita la Cina a rafforzare lo Stato sociale.
Il maggior peso che i Paesi emergenti hanno nella gestione del Fmi è conseguenza del passaggio dal G-7 al G-20 come principale organo del governo economico mondiale. A rinnovare le strutture interne è stato soprattutto un altro francese, il capo economista Olivier Blanchard; le dottrine ufficiali avevano già cominciato a evolversi sotto i tre precedenti capi economisti.
Finora, una prassi mai violata stabiliva che il numero uno del Fmi fosse scelto tra gli europei (per più di metà del tempo è toccato a francesi, 35 anni su 65) mentre la presidenza dell`istituzione sorella, la Banca mondiale, spettava agli americani. Ora il mondo è cambiato, e i Paesi emergenti chiedono di rompere la continuità. Nella previsione che Strauss-Kahn si sarebbe dimesso per le presidenziali francesi, diversi candidati si stavano già scaldando.
Il personaggio più stimato pare l`indiano Montek Singh Ahluwalia, consigliere del primo ministro di Delhi, già al Fmi con incarichi importanti. Per un candidato cinese forse non è ancora l`ora; l`uomo giusto, l`ex vicegovernatore della Banca centrale Zhu Min, è già dentro il Fmi, come «consigliere speciale».
Circolano anche i nomi di due ex ministri di prestigio, il turco Kemal Dervis e il sudafricano Trevor Manuel.
Ma i Paesi europei sommati controllano il 30% delle quote` del Fondo: se si mettessero d`accordo su un nome di prestigio, potrebbero sperare di conservare la poltrona. Avrebbe potuto essere Mario Draghi, il quale però un posto di suo gradimento lo sta per trovare alla Bce; pare arduo rimettere tutto in discussione. Avrebbe potuto essere l`ex premier britannico Gordon Brown, ma il suo successore David Cameron ha detto no. Da Londra – che quel posto non l`ha ottenuto mai – si fa il nome dell`ex commissario europeo ed ex ministro Peter Mandelson. Più difficile è che la scelta cada sulla Francia. Parigi potrebbe offrire la ministra dell`Economia Christine Lagarde o ricorrere all`esperienza di Jean-Claude Trichet. L`Europa è preoccupata del ruolo importante che il Fondo ha nella crisi dell`euro; però di solito in quell`istituzione ognuno dei grandi Paesi del continente gioca per sé. Il Fmi è una grande burocrazia di 2.500 persone, capace di andare avanti anche nella momentanea assenza del capo: la guida è ora in mano al numero 2, l`americano John Lipsky;
alle riunioni europee andrà al posto di Strauss-Kahn l`egiziana Nemat Shafik, vicedirettrice generale, numero 4 nella gerarchia, e già addetta ai problemi europei.

Fonte: La Stampa del 16 maggio 2011

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