• martedì , 19 Marzo 2024

COME FERMARE LA SCIA DI SANGUE?

di Giuliano Cazzola

Una vera e propria strage sul lavoro (come ha scritto Il Riformista) è sembrata una beffa tragica a poche ore di distanza dall’incontro tra il governo e le parti sociali. «C’è una esigenza di prendere provvedimenti immediatamente, entro settimana prossima e poi ci sarà un piano più organico e strutturale. Intanto – ha annunciato Mario Draghi in conferenza stampa – bisogna però intervenire subito e alcune delle strade sono pene più severe e più immediate; collaborazione all’interno della fabbrica per l’individuazione precoce delle debolezze. È ovvio che i lavoratori che potranno partecipare a questa operazione non saranno responsabili di nulla. Ringrazio i sindacati per il loro sforzo».

È questa la terapia opportuna? A mio avviso, occorre distinguere. Quanto a nuove e più severe sanzioni, sarebbe il caso di tener conto delle norme già esistenti. Ricordo che nella mia esperienza parlamentare fui nominato relatore del parere (obbligatorio ma non vincolante) che competeva alla commissione Lavoro della Camera su di uno schema di decreto legislativo predisposto dal governo per integrare il Testo Unico (dlgs 81 del 2008 sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro). Erano emerse questioni delicate riguardanti la linea delle responsabilità datoriali, su cui era intervenuto anche il presidente Napolitano (fu in quell’occasione che conobbi Loris D’Ambrosio). In Commissione procedemmo a delle audizioni, a cui fu invitato anche Raffaele Guariniello, il magistrato protagonista delle grandi inchieste sull’ambiente di lavoro. Alla domanda se occorressero nuove sanzioni penali, rispose: «Perché? C’è già il codice penale».

La stessa considerazione l’ha svolta recentemente in una intervista il nuovo capo dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (Inl), Bruno Giordano: «Dopo 30 anni di attività giudiziaria in materia di sicurezza sul lavoro mi sono convinto che punendo di più non si ottengano maggiori risultati. Occorre prevenire gli incidenti e per farlo servono controlli quantitativamente e qualitativamente incisivi e un rafforzamento del potere sospensivo dell’attività di impresa che già abbiamo». Giordano, invece, ha messo il dito su di una piaga ancora aperta. L’Inl è stato istituito nel 2015, nel quadro dei provvedimenti del jobs act, tuttavia «alcune delle norme più importanti del decreto istitutivo, come il coordinamento dei servizi ispettivi di Inps e Inail, devono ancora essere attuate. Sarebbe un passo fondamentale – ha sostenuto Giordano – per poter fare in una volta sola controlli incrociati sulla regolarità complessiva dell’azienda e sulla posizione contributiva, assicurativa e di sicurezza dei lavoratori. Oggi ogni ispettore guarda alla materia di sua competenza e il coordinamento è affidato alla buona volontà. Dietro però ci sono anche questioni tecniche e informatiche: noi abbiamo un accesso molto parziale alle banche dati di Inps e Inail con le informazioni sulle aziende controllate. Ci stiamo lavorando in queste settimane».

C’è poi la questione del rafforzamento degli organici ispettivi che, a regime, arriveranno a 4.800 unità nel giro di qualche anno. Ma qualcuno pensa forse che sia possibile controllare – in permanenza? – oltre 4 milioni di imprese? Ecco perché la pietra d’angolo di una svolta effettiva si trova in un’altra indicazione di Mario Draghi: «Collaborazione all’interno della fabbrica per l’individuazione precoce delle debolezze». In sostanza, ognuno deve essere “ispettore di se stesso” e dei propri colleghi. Nel documento presentato lunedì dalla Confindustria si trova addirittura scritto che «nessun infortunio è frutto di casualità (ma esito di una o più situazioni di rischio preventivabili e quindi prevenibili) e che – salvo rarissime eccezioni – nessun infortunio è inevitabile (il che interpella il tema della chiarezza e semplicità delle regole comportamentali e tecniche)». La prevenzione degli infortuni è necessariamente un impegno collettivo in qualunque organizzazione del lavoro. L’attenzione del compagno vicino – meglio se è stato eletto per svolgere questo compito – è un presidio più sicuro della ispezione periodica di un funzionario del Lavoro. E il bello è che queste possibilità sono sancite e salvaguardate dalla legge, anche se nessuno, tanto meno i sindacati, ne parla. Al punto che la proposta di Draghi è sembrata una novità.

Vi è un’intera Sezione del TU (la VII) dove sono previste forme di consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori eleggibili in tutte le aziende anche se piccole o nel territorio. I poteri di questi delegati sono effettivi; possono disporre, senza perdere la retribuzione, del tempo necessario per svolgere i loro compiti e soprattutto il rappresentante «può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro». Non c’è bisogno – lo diciamo a Maurizio Landini – di fermare le aziende, se si intravedono dei rischi per la salute e la sicurezza. È sufficiente una telefonata. Soprattutto non servono le rassicurazioni di Draghi («È ovvio che i lavoratori che potranno partecipare a questa operazione non saranno responsabili di nulla») perché le tutele sono già previste dal TU: chi è chiamato dagli altri lavoratori a svolgere tale funzione «non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali».

Infine Giordano nell’intervista ha sfiorato un altro problema essenziale. Alla domanda se esista un problema di coordinamento con le Asl a cui spettano i controlli su salute e sicurezza, il direttore dell’Inl ha risposto: «Sono più di 100 e fanno capo alle Regioni e province autonome, per cui ognuna risponde a un certo orientamento politico. Per di più non sono nemmeno in rete tra loro, oltre a non avere una banca dati comune con Inps e Inail. Che è indispensabile per conoscere il lavoro che stanno facendo gli altri ed evitare duplicazioni o triplicazioni. Affidare agli enti locali la tutela della salute e sicurezza – ha proseguito – aveva senso nel 1978, quando è nato il Servizio sanitario nazionale, ma oggi per farlo servono competenze sull’ergonomia, sugli algoritmi che regolano il lavoro per le piattaforme, sullo stress e le curve di attenzione… dobbiamo alzare il livello tecnico». Sarebbe ora di rivedere un’impostazione sostanzialmente ideologica che risale all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale: la dottrina della tutela unitaria della salute (prevenzione, cura e riabilitazione) che assegnò anche la problematica infortunistica alle Asl (per fortuna un referendum ha sottratto a esse le funzioni in materia di ecologia).

È abbastanza comprensibile che nel personale delle Asl oberate dai problemi della sanità siano carenti le figure professionali in grado di intervenire sulla sicurezza dei macchinari e sull’organizzazione del lavoro. Per inciso: i medici del lavoro sono in Italia 5500 su 14 milioni di lavoratori. Vi è poi un’altra questione importante. È noto che il contagio contratto “in occasione di lavoro” (e quindi anche in itinere su treni locali e mezzi pubblici affollati) è considerato infortunio e come tale tutelato. Dall’inizio della pandemia si sono registrate 175mila denunce di infortunio da Covid-19, con ben 600 decessi. Il green pass serve anche nella lotta contro gli infortuni sul lavoro.

Fonte: dal Riformista del 1 ottobre 2021

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