• venerdì , 29 Marzo 2024

Spremitura all’italiana

La politica ha usato le aziende come bancomat. E adesso paghiamo.
Due articoli sul Wall Street Journal di oggi richiamano la nostra attenzione sulla fragilità del nostro sistema finanziario.
Il primo articolo ricorda il declassamento di alcune nostre società primarie: Telecom e Finmeccanica, ormai classificate “junk”, e Fiat, da tempo tra i titoli speculativi-grade ad alto rendimento. Il deterioramento della nostra struttura industriale – in particolare nelle grandi imprese a rete nella quali un tempo eravamo giocatori mondiali con cui fare i conti – si riflette chiaramente nel nostro peso declinante sul mercato obbligazionario. In generale, le obbligazioni italiane corporate rappresentano circa il 9 per cento dell’indice Barclays-investment grade-corporate – anche dopo che si sono esclusi i titoli statunitensi e inglesi dell’indice. Del resto ciò non è sorprendente, dato che quasi il 95 per cento delle imprese italiane sono micro-imprese con meno di dieci dipendenti. Tutto questo vuol dire che non solo i finanziamenti diretti dal mercato dei capitali costano più cari, ma anche che la strada per accrescere la quota dei finanziamenti alle imprese da canali non bancari è in forte salita. Un ruolo importante può esser giocato da strumenti innovativi, finanziari e di garanzia, che consentano la cartolarizzazione dei crediti bancari; per le imprese un poco più grandi, si può cercare di allargare ancora lo spazio per le piccole emissioni (mini-bond).
Il secondo articolo ricorda che le banche italiane ancora spiccano per l’utilizzo elevato della linea di rifinanziamento a lungo termine della BCE e per la quota elevata di tali fondi reinvestita in titoli di stato. SE la BCE non rinnovasse quelle linee di rifinanziamento, per noi sarebbero dolori. Quanto all’investimento in titoli di stato, la ragione non è, come molti talora sembrano pensare, una pressione indebita del governo sulla banche, ma più semplicemente il fatto che quei titoli offrono un buon rendimento e sono classificati dal regolatore bancario come titoli senza rischio, dunque non assorbono capitale. Ma l’effetto d’insieme è che, in caso di nuovi shock finanziari sul nostro debito pubblico, le ripercussioni sul sistema bancario sarebbero forti – il circolo vizioso tra rischio sovrano e rischio bancario si è rafforzato, invece che indebolito.
Nel complesso, il cattivo andamento dell’economia e l’elevato debito pubblico pesano non poco sulle condizioni di finanziamento delle nostre imprese. Aggravano il fardello i detriti delle operazioni compiute negli ultimi anni per salvare l’italianità di imprese che strategiche lo sarebbero davvero, ma per le quali la politica ha interpretato la strategicità come licenza di sistematica spremitura fino alla consunzione.

Fonte: InPiu' del 15 ottobre 2013

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