• giovedì , 28 Marzo 2024

Chi e’ De Lise, il boiardo eterno

Occupa posti centrali nei Palazzi dal 1972. Dopo la vicenda Bertolaso (era consulente della Cricca) la sua lunghissima carriera sembrava finita. Invece ora sta tornando in sella. Grazie all’amicizia con Letta e Passera.
Uno Stakanov della nomenklatura pubblica: nonostante i 75 anni suonati, per Pasquale De Lise, consigliere di Stato, la legge Fornero è acqua fresca. Perché lui non ha alcuna intenzione di farsi rottamare. L’uomo che ha abitato ai piani alti di tutti i governi della prima Repubblica (dal 1972 al 1992 è passato senza interruzione dal ruolo di capo dell’ufficio legislativo dei Lavori Pubblici, delle Partecipazioni Statali, delle Poste, della Sanità a capo di gabinetto del Tesoro, del Bilancio, di Palazzo Chigi e delle Finanze), per poi collezionare un numero impressionante di presidenze nei posti chiave della magistratura amministrativa, dai Tar al Consiglio di Stato, oggi ha trovato degli estimatori anche nel governo Monti.
E’ infatti uno dei tre candidati del ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, per il vertice della nuova Authority dei Trasporti. Ma non è solo una questione di età. La carriera di De Lise sembrava avviata al tramonto per il ruolo che ha avuto nell’ultimo scandalo degli appalti pubblici, quelli gestiti dall’unità speciale di Angelo Balducci sotto la giurisdizione di Guido Bertolaso e con la manovalanza di Diego Anemone. Pur non essendo indagato, dalle intercettazioni emerge quanto era importante per la cricca averlo come “consulente giuridico” nelle questioni più spinose: era l’uomo che trovava il timbro legale alle gesta di Balducci&C. Ma tuttora De Lise è il garante degli interessi delle grandi imprese e dei concessionari che lo vogliono a tutti i costi nel cuore del potere pubblico, dove appunto si decidono i destini degli appalti e delle grandi opere.
L’intero mondo dei concessionari autostradali, da Autostrade per l’Italia dei Benetton al gruppo Gavio, ha alzato le antenne già quando, nel 2011, il governo Berlusconi decise di mettere le mani in quel groviglio di interessi che è l’Anas, il luogo in cui un chilometro di asfalto può diventare una miniera d’oro o un ramo secco. Poco prima dell’estate scorsa, fu deciso che il ruolo di controllore dei grandi concessionari autostradali, fonte di gran parte del suo potere, non gli dovesse più spettare, perché in conflitto con la gestione delle strade nazionali che – come concessionario pubblico – svolge in proprio e che quindi quella parte sarebbe stata sfilata e trasferita a un’Agenzia nuova di zecca, da creare entro la fine dell’anno sotto la vigilanza del ministero di Porta Pia.
Per tutti coloro che vivono del business dei trasporti su gomma, da chi progetta a chi partecipa alle gare d’appalto a chi costruisce l’autostrada, diventava vitale prendere le misure al nuovo soggetto: chi comandava, e con quali regole, poteva cambiare il destino di un’impresa e di una generazione d’imprenditori, visto che le concessioni durano 30-40 anni. Ma già la scelta di un’agenzia “vigilata” dal potere politico, invece che di un’authority dei trasporti indipendente, come chiedeva a gran voce l’Unione europea (aprendo anche una procedura d’infrazione contro l’Italia), la dice lunga sulla forza dei poteri in campo e sulla loro paura di un controllore troppo autonomo.
L’arrivo di Monti a palazzo Chigi spariglia i giochi? Il nuovo team dei professori si inchina ai desideri di Bruxelles, alza la bandiera dell’indipendenza sul tetto di una nuova authority? Niente affatto. Anzi. Nel decreto Salva-Italia, quasi in articulo mortis, il 28 dicembre viene riconfermata l’Agenzia, ma spostandone la nascita sotto il segno dei pesci, entro la fine di febbraio 2012. E chi compare dal cappello dal ministro Corrado Passera per guidarla? Pasquale settevite, il consigliere De Lise.
Singolare distrazione, quella dei tecnici al governo: nominano un altro grand commis statale, Carlo Malinconico, sottosegretario alla Presidenza con delega all’editoria, per poi scoprire gli imbarazzanti favori che aveva incassato sempre dalla cricca Balducci-Anemone, i grandi inquinatori degli appalti pubblici. E sono costretti a rimuoverlo. Malinconico humanum, De Lise diabolicum, avrebbe detto Gianni Agnelli. E’ uno scherzo del destino quello che fulmina sulla via della presidenza un trapezista di leggi e codici qual è il consigliere De Lise: proprio la Corte dei Conti di cui è stato capo lo boccia per raggiunti limiti di età, 75 anni giusto a febbraio. Ma un uomo del genere non si rassegna al tramonto. Soprattutto se ha dalla sua parte dei super-poteri come Gianni Letta e Propaganda Fide (che lo ha scelto come consultore per le faccende immobiliari).
Con una svolta a U, a gennaio il governo rispolvera l’idea dell’authority dei trasporti che poche settimane prima aveva rinviato alle calende greche e la piazza sulla corsia di sorpasso del decreto Cresci-Italia: ma magicamente il suo perimetro d’intervento si allarga, e si decide che metterà il naso in tutto il settore dei trasporti, dalle ferrovie ai porti ai taxi alle strade. E alle concessionarie autostradali. Una dura prova per i poteri forti di terra, di mare e di cielo. Ma soprattutto per quelli di terra, piantati nel cemento e nell’asfalto delle autostrade a pagamento, uno dei business più lucrosi di tutti i tempi, che si trovano spiazzati di fronte al nuovo soggetto.
Chi ha osservato le grandi manovre delle lobby in quei giorni racconta di una battaglia durissima, in cui hanno incrociato le lame tutti i big del settore, dal capo delle Ferrovie, Mauro Moretti, a quello di Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci, al lord protettore dei concessionari, Fabrizio Palenzona. Con un tema di fondo: se l’authority ingloba anche le competenze prima attribuite all’agenzia (spedita nel limbo), chi sarà colui che nella nuova cornice diventa il garante degli interessi in campo? Chi veglierà su tariffe, costi delle infrastrutture, obblighi dei concessionari? Chi detterà le regole sulle commissioni aggiudicatrici? Chi, in sintesi, sarà in grado di far pendere la bilancia dove serve con un semplice codicillo? La risposta è una sola: il consigliere De Lise.
L’uomo che ha firmato il codice degli appalti, che ha scritto sentenze memorabili come arbitro o come giudice del Tar in partite milionarie. Uomo delle istituzioni e beniamino delle imprese. E’ il suo nome infatti che rispunta nella terna scelta dal ministro Passera e che il consiglio dei ministri approva per guidare l’Authority. Non come presidente, questa volta, poltrona destinata al professore universitario Mario Sebastiani, ma come consigliere in abbinamento con Barbara Marinali, appena promossa direttore generale del ministero delle Infrastrutture proprio da Passera.
E dell’Agenzia che ne è stato? Avviata su un binario morto, forse non vedrà più la luce. La sua sopravvivenza dipende infatti dall’emanazione di un regolamento, che doveva arrivare entro il termine della fine di giugno. Ma la sua eutansia è stata rinviata proprio dagli imprevisti che hanno frenato l’approdo di De Lise all’Authority: nel decreto per la spending review, è stato infilato un articolo, in ossequio alla tradizione delle leggi omnibus, dove si rinvia il termine da giugno alla fine di settembre. Non si sa mai: l’Authority disegnata su misura per De Lise potrebbe sempre incagliarsi ed è meglio tenersi una alternativa. Salvate il soldato De Lise, a tutti i costi.
Anche perché nell’audizione dei candidati di fronte alla commissione Trasporti della Camera, che deve ratificare la nomina con i due terzi dei voti come poi quella del Senato, il 26 giugno il clima sembrava idilliaco. Ma, dopo i convenevoli, è iniziata dietro le quinte la conta dei voti. Alla Camera, i due terzi prescritti si raggiungono solo se votano sì 29 deputati su 43. Obiettivo niente affatto a portata di mano, sebbene i voti che sostengono il governo assommino a 31. Al Senato il quorum si raggiunge con 17 voti su 25 componenti, ma anche qui la partita non è facile per De Lise. Se il Pd, ma anche l’Idv e pure la Lega, si mettessero di traverso, la strada sarebbe sbarrata. E anche l’idea di un cammino più snello, con la soglia dei sì abbassati a maggioranza semplice, è stata stoppata da un parere del presidente Gianfranco Fini. Il governo ha mangiato la foglia e ha deciso di fare un supplemento di rilessione.
L’ultima puntata della saga De Lise è ancora in corso.

Fonte: Espresso del 31 luglio 2012

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