• martedì , 19 Marzo 2024

Il concilio di Basilea

REGOLE BANCARIE, CHE COSA CAMBIA (PER TUTTI)
A Basilea, città di concili della Chiesa e di riformatori religiosi, si delibera in questi giorni la parte più controversa delle nuove regole della finanza: di quanto maggior capitale e di quanta maggiore liquidità le banche debbano essere tenute a disporre in relazione all’attività che svolgono. Capitale, per assorbire le perdite derivanti da crediti non rimborsati; liquidità, per soddisfare clienti, depositanti o altri creditori che bussino a cassa.
Al di là dalle regole tecniche della finanza, sono in gioco la ripresa dell’economia e la concorrenza tra le grandi istituzioni finanziarie di diversi Paesi. La crisi ha dimostrato due cose. Primo, che le banche, se lasciate libere, non hanno la prudenza di tenere capitale e liquidità sufficienti a fronteggiare i tempi difficili; poiché liquidità e capitale sono denaro sottratto a impieghi più redditizi, dunque costano, il banchiere (spinto dagli azionisti, ed esso stesso pagato in azioni), cerca di tenerli al minimo sperando che i tempi difficili non vengano e forse confidando che, se verranno, pagherà Pantalone. Secondo, che i vigilanti, se lasciati liberi, vigilano poco: sono, sì, una tecnostruttura creata per correggere la mancanza di disciplina spontanea, ma si sono per anni rivelati proni al fascino del mercato libero e preoccupati, ciascuno— come il professore che non bocci nessuno — di attrarre le banche nel proprio paese anziché in altri. Si è dunque ormai d’accordo che, rispetto all’oggi e al recente passato, le banche debbano accrescere fortemente sia la liquidità sia il capitale, e che lo faranno solo se costrette da un obbligo formale.
Il dibattito è intorno al quanto, al quando e al come. È un dibattito di cui il lettore dei giornali non ha né la capacità né il bisogno di comprendere i tecnicismi, ma di cui può cogliere i nodi centrali, che sono economici e politici, non solo finanziari. I nodi possono essere illustrati, al pari di quasi tutte le questioni economiche, come problemi di bilanciamento tra esigenze contrastanti. Tutela del risparmio e crescita economica. La difficoltà di questo primo bilanciamento sta nella cosiddetta «calibrazione» dei nuovi coefficienti di capitale e di liquidità; ma sta, ancor più, in quella dei tempi accordati alla transizione. Per passare dagli attuali ai nuovi coefficienti, l’attività bancaria dovrà rallentare, tanto più bruscamente quanto più forte e rapido sarà l’adeguamento richiesto e quanto più difficile sarà procurarsi il capitale e la liquidità aggiuntivi: un complesso di circostanze che varia da banca a banca e da Paese a Paese.
Nella transizione le banche saranno indotte a razionare i prestiti alle famiglie e alle imprese; e poiché oggi l’economia di molti Paesi è già debole, alcuni temono che le nuove regole soffochino del tutto la ripresa produttiva, un altro e non meno pressante obiettivo della politica economica. Più breve sarà il tempo concesso per adeguarsi, più intensa sarà la gelata per l’economia. A regime, i risparmiatori saranno più al sicuro e le banche saranno meno vulnerabili a improvvise crisi di fiducia o a sbalzi delle quotazioni dei mercati finanziari; il prezzo della robustezza sarà una minore capacità di espandere rapidamente i prestiti. Tutto è poi complicato dal fatto che fra «transizione» e «regime» il nesso non sarà dato solo dalle regole, ma dal mercato stesso. Anche se le prime accorderanno tempi lunghi (si parla del 2018) è ben possibile che il secondo, il mercato, penalizzi subito banche che ritiene, magari a torto, troppo lontane dalla meta.
Non tutte le banche si troveranno nella stessa posizione. Peggio staranno quelle meno disposte o meno in grado di raccogliere nuovo capitale sul mercato: o perché non ne riscuotono la fiducia, o perché gli azionisti che le controllano non hanno mezzi per ricapitalizzarle essi stessi, o perché non vogliono attenuare il loro controllo rivolgendosi ad altri. Cooperazione e concorrenza internazionale. Il secondo bilanciamento è reso difficile dallo scontro tra la necessità di regole uniformi su scala globale e la forte concorrenza in atto tra Paesi, piazze finanziarie, sistemi bancari e finanziari. Intorno al tavolo di Basilea siedono amici-nemici, ben consapevoli che diverse modulazioni delle nuove regole possono favorire alcuni e sfavorire altri.
Un primo esempio: le banche che oggi temono meno il rafforzamento delle regole sono quelle che lo Stato ha ricapitalizzato; chi è sopravvissuto alla crisi per forza sua si sente doppiamente tradito, prima dal soccorso pubblico che ha salvato le avversarie, poi dal vantaggio che quel soccorso rappresenta rispetto alle nuove regole. Un secondo esempio: i paesi dove l’economia si finanzia più attraverso le banche che sui mercati (cioè secondo una formula di cui la crisi ha premiato la maggiore stabilità) si sentono ora penalizzati da una riforma il cui cardine principale è un irrigidimento delle regole imposte proprio alle banche, non ai mercati, o alle istituzioni finanziarie non bancarie. Un terzo esempio: il capitale e la liquidità che le banche sono tenute ad avere è la somma di quanto prescrive la regola meccanica (quella che ora si sta «calibrando» a Basilea) e del sovrappiù imposto discrezionalmente dal vigilante in funzione della situazione specifica di ogni banca. Poiché i criteri non sono coordinati internazionalmente, le banche dei paesi severi (come l’Italia o la Francia) temono ora di essere penalizzate rispetto a quelle dove vigilanti indulgenti non usano imporre il sovrappiù.
La crisi ha screditato sia le banche sia i vigilanti e ha fatto entrare in scena un terzo attore, che per lungo tempo era stato tenuto fuori gioco dalla complessità tecnica della materia, dal mito dell’infallibilità del mercato e dal principio di indipendenza delle autorità di controllo: il potere politico (governi, ministri, parlamenti). È stato questo a dover chiedere ai contribuenti di dare soldi per salvare le banche ed è questo che, fornendo alle banche mezzi per non fallire, ne è divenuto spesso il proprietario. Dovrà esser questo a dire l’ultima parola in novembre a Seul, quando si riunirà il G20.

Fonte: Corriere della Sera del 12 settembre 2010

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