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Sintesi della relazione svolta in occasione del Ventennale della scomparsa di Ezio Tarantelli – 1 aprile 2005

The ’60s and Ezio’s Awakening to the Social Problems of Italy

Voices of the UNEMPLOYED

In this land
No man has hired us.
Our life is unwelcome, our death
Unmentioned in “The Times”.

Choruses from “The Rock”
By Thomas Stearns Eliot

1. Qualche notazione biografica – Pur provenendo da ottima famiglia di origine abruzzese, le vicissitudini paterne nella ricerca di un’occupazione lo avevano costretto a guadagnarsi da vivere sin da giovanissimo come interprete presso la CIT e guida turistica per stranieri a Villa Adriana e a Roma; la sua vasta conoscenza delle lingue aveva questa origine pratica, avendo studiato soltanto il francese a scuola. Conseguita la laurea nel 1965, fu assunto in Banca d’Italia dopo pochi mesi come idoneo alla “Borsa Stringher”.
Conscio delle scarse conoscenze acquisite nell’università italiana, rimase pochissimo tempo dietro la scrivania; si mise in congedo dalla Banca e si recò a Cambridge (UK) nel 1965/66 per studiare l’accumulazione del capitale con Joan Robinson, la sua tutor. Rientrato in Banca nel giugno, fu destinato all’ufficio ricerche. L’ansia del sapere lo spinse a ripartire agli inizi di settembre con pochi soldi per Cambridge (Mass.) e a rimanervi per gli anni accademici 1966/67 e 1967/68 per studiare soprattutto i metodi econometrici; lì conobbe Carole, colei che sarebbe diventata sua moglie, che gli fu larga di aiuto, morale e materiale, e con la quale stabilì un profondo sodalizio intellettuale. Ezio era uomo aperto, sempre pronto alla discussione e al confronto, ma anche provocatore: ad esempio, nel gennaio del 1967 volle chiaramente manifestare che egli si sentiva un membro della élite europea di sinistra e squadernò sotto gli occhi di Solow The Accumulation of Capital. Furono questi gli anni in cui si legò di profonda amicizia con Franco Modigliani. Nel 1967 Paolo Baffi e soprattutto il Servizio del Personale erano contrari a dargli un altro congedo per recarsi nuovamente al MIT; gli promisi di intercedere per lui e alla fine ottenne il permesso di partire. Tuttavia, le difficoltà che aveva incontrato per lasciare l’Italia, non lo resero più prudente o disciplinato nel rientro; si presentò in Banca con un mese e mezzo di ritardo…
Egli era certamente un uomo che le difficoltà avevano temprato, ma aveva anche il coraggio di proiettarsi al di là del limite cui gli altri sottostavano, sorretto in ciò dall’ambizione e dalla consapevolezza delle sue capacità. Dalla seconda metà del ’68 e per tutto il ’69, Ezio fu in Italia e visse i furori studenteschi, i duri scioperi dell’autunno caldo, le tragedie che funestarono un Paese diviso, impaurito, indeciso.

2. La domanda per una politica di riforme strutturali – Sebbene lo scritto nell’edizione integrale dedichi molta attenzione alla lettura che la banca centrale fece degli anni ’60 e alla valutazione critica che della stessa può darsi sulla base anche delle memorie di Carli, non è dalle relazioni della Banca d’Italia che si può ottenere un quadro vivido degli umori e dei fervori dei giovani, in particolare di quelli che costituivano il nuovo proletariato delle grandi città del Nord, spesso con un grado di istruzione e di specializzazione basso, addetti alle catene di montaggio che il fordismo aveva diffuso nei grandi impianti; perciò, è agli storici che bisogna chiedere aiuto.
Scrive Guido Crainz : “Si consideri la nuova classe operaia che si delinea e che ha il suo centro appunto nei giovani. I modelli acquisitivi saranno sì individuali e familiari, la società consumistica avrà sì grandi potenzialità di “integrazione” dei ceti subalterni, ma il boom economico innesca, o comunque favorisce, una ripresa del protagonismo collettivo che scardina lo scenario consolidatosi negli anni cinquanta. I conflitti che iniziano ad attraversare le fabbriche hanno ragioni ricorrenti: condizioni lavorative durissime, orari pesanti (spesso prolungati ad arbitrio dell’imprenditore), discriminazioni, assenza di diritti, sproporzione tra arricchimento delle imprese e salari. … Il rifiuto dell'”etica del sacrificio” si intreccia al rifiuto di forme tradizionali di subalternità e alla ripulsa di distinzioni gerarchiche e sociali anacronistiche: di qui l’accumularsi di speranze, di valori collettivi e antagonisti all’ordine esistente” (p. 20). La domanda era per riforme di struttura, anche se non sempre era chiaro cosa e come si dovesse riformare.
Viste ex post, queste richieste insoddisfatte diventano “occasioni mancate”. Diversamente da Salvati, esse sono da interpretare in un senso psicologico e sociologico; indipendentemente dall’essere utopiche o realistiche, esse alimentano l’immaginario individuale o collettivo in misura tanto maggiore quanto più forte è il senso di frustrazione o soltanto il disagio per la situazione presente. E la principale di tali occasioni mancate fu certamente la programmazione economica.
Quest’ultima poteva non essere un’opzione valida, cioè rispettosa dei principi dell’economia di mercato e al tempo stesso capace di assicurare attraverso la politica dei redditi una più equa distribuzione dei benefici della crescita e una rappresentanza dei lavoratori nella gestione dell’economia. Personalmente, non ho mai avuto molta fiducia nel successo della programmazione la quale richiede da un lato una pubblica amministrazione forte, competente e rispettata e dall’altro un alto senso di disciplina sociale; entrambe le condizioni sono scarsamente presenti ancora oggi. Tuttavia, la sua predicazione e la sua continua reincarnazione in forme sempre diverse riuscirono a farla considerare nell’immaginario politico e sindacale, forse, la maggiore delle occasioni perdute.
I conflitti industriali toccarono il loro apogeo nell’autunno “caldo” per antonomasia, quello del 1969. La crescita dell’occupazione industriale era stata rapida e i suoi addetti erano circa 6.850.000 in quell’anno; le ore di sciopero toccarono la vetta di oltre 230 milioni, quasi cinque volte quelle dell’anno precedente. I conflitti, spesso sfuggiti al controllo sindacale, erano motivati non solo dalla domanda di robusti aumenti, ma anche dal bisogno di un maggior rispetto per la dignità del lavoratore. Lo scollamento tra il sindacato e i lavoratori si ebbe non solo alla Fiat o alla Pirelli, dove nacque il primo comitato unitario di base, ma anche nelle vertenze di Battipaglia. Vennero così acquistando forza le istanze, come alla Fiat, per aumenti uguali per tutti e acquisendo potere i delegati di reparto, eletti o designati dagli operai, non dai sindacati.

3. La domanda per una politica di empowerment – Non era solo la classe operaia a ricercare un ruolo che andasse al di là di quello di consumatore; anche gli studenti avvertivano che i tempi erano mutati, che i rapporti tra discenti e docenti erano nel migliore dei casi paternalistici e nel peggiore autoritari, che la cultura, come nella scuola media divenuta obbligatoria, era rimasta o si temeva che rimanesse di élite, con la conseguenza di non contrastare la tendenza all’abbandono. E’ del 1966 la legge per la costituzione dell’università della Calabria, ma le sedi universitarie tendevano a moltiplicarsi attraverso vari canali, sia per il rapido aumento degli studenti sia soprattutto per dare soddisfazione ad ambizioni locali; inizia così un processo di licealizzazione degli studi universitari con effetti spesso negativi sulla ricerca.
Già dal 1964 si succedettero agitazioni, scioperi e occupazioni di scuole e università non certo per motivazioni “goliardiche”, ma come risposta a stati di disagio o come critica a decisioni delle autorità scolastiche. Agli inizi del 1965 furono alcuni, marginali episodi a sollevare apprensione, più che allarme; essi costituivano indizi abbastanza precisi dell’arretratezza culturale e della segmentazione sociale della scuola italiana, più che fermenti radicali di una gioventù in cerca di alleati per la propria “rivoluzione”. Nel 1965 lo stato di tensione era forte nell’Università di Roma per la contrapposizione tra studenti di opposte fazioni e per il sostegno dato a quella di estrema destra dal Rettore e dalla polizia; l’anno successivo si ebbe l’uccisione di uno studente socialista, Paolo Rossi, con occupazione e contro-occupazione di facoltà universitarie e dimissioni del Rettore. Già nel 1966, però, all’inizio dell’anno accademico e mentre si stava concludendo la vertenza dei metalmeccanici si cominciò a notare la presenza di piccoli gruppi di studenti, politicamente motivati, all’interno di manifestazioni sindacali; divenne palese durante gli scioperi alla Fiat del 1968 la confluenza tra le rivendicazioni operaie e quelle studentesche; proprio all’Università di Torino nell’autunno dell’anno precedente era germogliato il “sessantotto” italiano. In molte università era cresciuta tra gli studenti la convinzione di essere vittime, come i lavoratori, di un’ingiustizia di classe, il che portava i primi a convergere spontaneamente verso i secondi.
La contrapposizione degenerò quasi dappertutto in scontri non solo con le forze dell’ordine ma anche tra gruppi di opposta fede politica. Qualche mente illuminata comprese, però, che il muro contro muro non aveva senso; Federico Caffè accettò alcune richieste degli studenti agli inizi del ’68 e dichiarò: “Non sono un “rivoluzionario”: seguo la coscienza”.
Sempre Crainz, tutt’altro che ostile ai movimenti studenteschi, scrive: “…anche se oggi lo schema appare grossolano e parziale … [esso] proiettava gli studenti in una lettura a tutto campo della società che trovava conferme continue. Permetteva ad una giovane generazione intellettuale … di richiamare su [storture antiche e deformazioni più moderne] l’attenzione e la sensibilità civile, proponendo progetti generosi – se pur ingenui – di trasformazione.” (op. cit., p. 238).br>

4. Una chiosa finale – Ed Ezio dov’è rimasto? Sempre in cima ai miei pensieri in questa scorribanda attraverso gli anni ’60; visse la temperie del 1968 e del 1969 con passione per il maggio francese, con misura per le vicende italiane, con prudenza per la difesa dei diritti civili e per la fine della guerra del Viet Nam negli Stati Uniti. Assegnato nel Servizio Studi al gruppo di lavoro per la costruzione del modello econometrico dell’economia italiana, per la parte relativa a produttività e salari, agli inizi del ’70 tornò in America, questa volta in missione per conto della Banca, convolò a nozze con Carole e ritornò a Roma nel luglio. Dal 1971 al 1975 ottenne un incarico di insegnamento da Giancarlo Mazzocchi, che svolgeva di sabato, all’Università Cattolica. Intanto, verso la fine del febbraio 1973 era diventato assistente ordinario alla cattedra di Federico Caffè a Roma e da dipendente si era trasformato in consulente della banca centrale.
Dei suoi interessi e della sua attività in Banca d’Italia sono testimonianze i due fondamentali lavori con i quali si apre il volume degli scritti scientifici di Ezio curato nel 1988 dagli amici Filosa e Rey. Da quell’iniziale impegno prese l’avvio una messe copiosa e coerente di contributi scientifici volti ad interpretare in modo originale la realtà italiana con gli strumenti mutuati in America. Secondo Filosa e Rey, pur rimanendo il riferimento al reddito potenziale, “… [d]al modello aggregato e meccanico elaborato dalla scuola nord-americana il suo schema mutuò solo la denominazione. Infatti, il suo era un modello basato sulla interdipendenza dei mercati delle merci, del lavoro e della moneta. In essi figuravano le preferenze del policy maker nei riguardi dell’inflazione e del vincolo esterno. Assumeva rilevanza determinante lo scambio politico fra le parti sociali nella definizione del trade-off fra inflazione e disoccupazione, disavanzo estero e sviluppo da un lato e spesa pubblica e tassazione dall’altro.” (op. cit., p. XIV). Per organizzare questo scambio politico era necessario mantenere coerente e unificare il sindacato.
Inoltre, come annota nell'”Introduzione” a La forza delle idee Bruno Chiarini, “Il dotarsi di strumenti tecnico-conoscitivi di analisi e previsione … [costituiva], di fatto, una condizione sine qua non per l’orientamento del sindacato verso comportamenti responsabili e cooperativi; verso lo scambio politico con il governo.” (op. cit., p. XXIII). Il suo impegno su questo fronte gli fruttò la stima e il sostegno della CISL nella creazione dell’ISEL, l’Istituto di studi ed economia del lavoro di cui divenne presidente. Nell’appoggiare l’iniziativa Eraldo Crea osservò con una punta di ironia: “Il sindacato è come un calabrone: vola contro le leggi dell’aerodinamica e Tu vuoi capire perché vola!” Il sindacato-calabrone vola ancora, forse un po’ più in basso; lo studioso di quel volo fu abbattuto da una salva di pallottole nel parcheggio dell’Università di Roma il 27 marzo 1985. Chi lo colpì probabilmente ignorava Orazio che nelle Odi (viii.28) scrisse: Dignum laude virum Musa vetat mori.

Fonte: Università La Sapienza

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